Nascono da una fede “claudicante”, ma sono rivolte a “un Dio che mi sfugge”, queste poesie tutte in forma di sonetto. Sono espressione, dice l’autore, di una nostalgia, di un rimpianto, di un desiderio di grazia che rimane invocazione senza tradursi in fede esplicita.
Un’esperienza così personale da dar ragione anche della scelta linguistica. Il dialetto àncora alla vita i versi e la tensione che esprimono. Insieme rimandano a un dialogo. L’autore infatti non parla “di Dio”, ma “a Dio”: quasi tutte le poesie cominciano con l’invocazione “Signore”.
Le sue parole scaturiscono dalle emozioni della vita. Sono spesso domande che attendono una risposta, ma anche sono incerte in questa attesa. Altre volte sono veri monologhi lanciati verso un interlocutore la cui esistenza sembra avvolta costantemente in una profonda nostalgia. Mai l’autore alza la voce preferendo invece indagare il proprio animo aperto alla domanda su Dio che si riverbera su se stesso.
Da questa condizione a tratti drammatica e a tratti nebbiosa, l’autore alza lo sguardo. Quasi vorrebbe “strapparlo via”. Ammette però di non “avere abbastanza cuore”, addirittura di essere “pelandrone”, perciò non riesce a “entrare nella tua prigione”. Eppure sente che Dio gli sta “col fiato sul collo”. Non smette di incalzarlo.
Sta qui quella “teologia negativa” di cui si sente debitore: “perché solo le tue spalle? fuori dalla vista la tua verità?”. In questa percezione di uno “scuro [che] nasconde la carezza”, gli occhi non possono che abbandonarsi alla ricerca, percepirlo “senza misura” eppure confidare di “incontrarti nell’infinito”. Così chiude la sua antologia con un verso che riecheggia l’invocazione biblica “ti aspetto, vieni”.
Nosgnor
di Giovanni Tesio
Interlinea
15 euro