Il pubblico del festival “TorinoDanza” ha potuto osservare la Grande Guerra da un punto di vista (purtroppo!) decisamente inedito: quello del milione di soldati dell’India coloniale catapultati sul Fronte Occidentale, doppiamente stranieri in una terra divenuta aliena anche agli stessi europei. L’0ccasione era “Xenos” del celebre coreografo anglo-bangladese Akram Khan (Fonderie Limone, Moncalieri, 25-26 settembre).
Protagonista del lavoro: un ballerino di Kathak, la danza tradizionale dell’Uttar Pradesh che racconta storie grazie ad un uso espressivo e complesso di mani e piedi, molto richiesta nei matrimoni come quello evocato dalla scena iniziale. Situazione idilliaca che viene (spettacolarmente) risucchiata sul fondo della scena, mentre la mente del ballerino si ritrova nell’inferno della guerra da cui era fisicamente sopravvissuto.
Il pendio ai cui piedi si esibivano il cantante Aditya Prakash e B.C. Manjunath (percussioni e konnakol) si trasforma in una trincea grigia, terrosa e rumorosa, mentre l’uomo rivive la sua attività bellica: rischiare la vita ogni giorno per sistemare nel fango cavi telefonici. Il suo spaesamento viene reso plastico dagli emozionanti movimenti di Khan da solo sul palco, in bilico tra tradizione indiana e danza contemporanea.
Se sono da elogiare sia le luci di Michael Hulls sia le scene di Mirella Weingarten (che trasformano, ad esempio, un grammofono in un faro che scruta spaventosamente la “terra di nessuno”, invasa alla fine da una valanga di pigne), vera coprotagonista di questo capolavoro è la colonna sonora dell’italo-londinese Vincenzo Lamagna, che intreccia elettronica, industrial, pezzi tradizionali indiani (“Babul Mora” del principe musicista ottocentesco Wajid Ali Shah inclusa) e persino il “Lacrimosa” dal “Requiem” di Mozart. Il tutto eseguito in parte dal vivo da un quintetto di musicisti che in certi momenti appare in alto, in fondo alla scena. Come angeli o fantasmi che osservano pietosamente un mondo deturpato.