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Venerdì 22 novembre 2024

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Visto con voi: “Prato inglese” al Carignano

Con la platea coperta di erba, per un mese il teatro torinese ha offerto – a serate alterne – “Otello” e “La bisbetica domata” con lo stesso cast ma con differente regista

La Guida - Visto con voi: “Prato inglese” al Carignano

Torino – “Shakespeare in the Park” è un’iniziativa che ormai da decenni porta ogni estate un’opera del Bardo in Central Park, a New York. Le messinscene sono d’altissima qualità (quest’anno: “Molto rumore per nulla” e ora “Coriolano”) e oltretutto gratuite. Unica condizione per assistervi: farsi ore di coda in attesa della distribuzione dei biglietti dello spettacolo serale a mezzogiorno.
Qualcosa di per certi versi analogo avviene da due estati anche a Torino, al Teatro Carignano, la cui platea viene parzialmente occupata da una distesa di erba (sintetica ma suggestiva) e trasformata in un luogo inaudito, dove il verde interagisce in modo spiazzante col rosso dei velluti e gli ori dei decori.  L’iniziativa si chiama “Prato inglese”: per circa un mese si alternano sulla scena due opere di Shakespeare con lo stesso cast ma con due diverse regie. Il fresco è assicurato dall’aria condizionata, i prezzi sono ridotti e l’originalità dell’iniziativa finisce per attirare un pubblico molto più variegato del solito, composto anche da persone che a teatro non ci mettono piede mai (o quasi mai). Quest’estate, dal 25 giugno al 21 luglio, sono stati proposti “Otello” e “La bisbetica domata”. Con grande e meritato successo.

La tragedia del Moro di Venezia, della sua irrazionale gelosia per l’incolpevole moglie Desdemona e dei perfidi raggiri dell’invidioso Jago è stata affidata a Marco Lorenzi, il regista del vitalissimo “Platonov” di Cechov di cui si è parlato qui non molto tempo fa.

Il suo “Otello” è apparentemente leggero, con molta musica, momenti divertenti, gag spassose e numerose occasioni di interazione con il pubblico, ma in realtà è potente ed amaro. Prende avvio da una Venezia, in cui – sotto la guida di un Doge donna (Alice Spisa) – sembrano prevalere le regole brutali della Realpolitik e che appare come un teatro dove sono in corso le prove di uno spettacolo (tecnici e camerini inclusi). Presto, però, dopo una fragorosa tempesta (tra musica barocca, rumore e corse a perdifiato) che distrugge la flotta turca, ci si sposta in uno spazio fantastico e drammatico allo stesso tempo: vi campeggia la scritta “Cipro”, gigantesca e luminosa come l’insegna di un ipotetico hotel di Las Vegas. Qua si sviluppa un tragicomico crescendo di inganni e malintesi che porta comunque alla strage finale. Lo Jago di Angelo Tronca non appare come un’incarnazione diabolica ma una personificazione della banalità del male: tutto sommato uno “sfigato” che riesce, grazie alla sua apparente insignificanza, a trascinare tutti verso il baratro. Il suo odio per Otello (il francese Damien Escudier che spesso e volentieri parla nella sua lingua, sottolineando così la sua “diversità”) ha una connotazione ancor più esplicitamente razzista del solito, tanto che la famosa frase “Io odio il Moro”, con cui inizia il suo celebre monologo, diventa qui una più brutale “Io odio il negro”, ancor più inquietante perché pronunciata con quella nonchalance un po’ piaciona che ultimamente in giro (ahinoi!) è diventata assai meno inconsueta che in passato.

Bravi tutti gli attori, anche se vanno ricordate la convincente Desdemona di Camilla Nigro che muore su un letto-tomba (portato in scena dal becchino – il Destino secondo il programma di sala – con cui lo spettacolo era iniziato) e la notevole Emilia (moglie di Jago) di Barbara Mazzi che dà il suo meglio quando – sgomenta – scopre la verità, poco prima di finire ammazzata brutalmente dal marito.

Per “La bisbetica domata” Elena Gigliotti ha, invece, scelto un approccio più divertito. Ha inserito molte coreografie musicalmente incongrue, danzate con allegria dagli undici attori, e ha collocato la storia, dove si parla spesso e volentieri di denaro e interessi economici, in una specie di improbabile bidonville dove i personaggi si muovono tra cianfrusaglie e arredi raccogliticci, vestiti spesso in modo particolarmente sguaiato o eccessivo. Se il tutto risulta divertente e accattivante, è la figura di Caterina, la “bisbetica”, a risultare particolarmente convincente: Alice Spisa ne sottolinea la fragilità, le paure profonde che spiegano la sua irruenza incontenibile. Di fronte però alla perentorietà usata da Petruccio per renderla docile (un Damien Escudier con cappello da cowboy e stivali texani rossi, che si muove su un’auto a pedali senza carrozzeria), si sente all’inizio sorprendentemente come persa. Domata con una certa brutalità, saprà conquistare a sua volta il suo interessato neo-marito, trascinandolo però in un “do ut des” che ha assai poco di romantico. Un compromesso disincantato contro la solitudine che lascia allibite le due altre neo-spose: la sorella Bianca (Camilla Nigro) impalmata da Lucenzio (l’energico Vittorio Camarota) e la “ricca” Vedova (Barbara Mazzi dal look deliziosamente inguardabile) convolata a nozze con Ortensio (il divertente Michele Schiano Di Cola).

Una sola caduta di stile: perché Gremio (il divertente Marcello Spinetta, anche Sarto e Prete dall’accento ispanico), il pretendente di Bianca più attaccato al denaro e alla “roba”, ha l’apparenza di un ebreo ortodosso con tanto di cappello nero e payot, i boccoli laterali degli Haredim? Nessuno si è reso conto che si stava scherzando su un pregiudizio tanto antico quanto deleterio, creando una stonatura piuttosto urtante?

L’iniziativa “Prato inglese” è organizzata ovviamente dal Teatro Stabile di Torino (TST) che – tra l’altro – è stato da pochi giorni riconosciuto dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali come il miglior Teatro Nazionale (il punteggio acquisito è stato 33/35) e quindi meritevole del maggiore finanziamento da parte del Fondo Unico dello Spettacolo. Non solo, anche “Torinodanza” (un’altra creatura del TST) è risultato il numero uno nella classifica dei “festival disciplinari” meritevoli di finanziamento pubblico (punteggio: 35/35). Due notizie molto positive – in tempi non proprio esaltanti – per Torino e per tutti coloro che amano il teatro, la danza e la cultura.

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