Cuneo – Non bastavano i pesci locali perché se la passione della pesca no kill (che non uccide l’animale pescato che viene subito rilasciato) è grande, si va alla ricerca del pesce raro, gigante o particolare in tuttom il mondo. È quel che ha fatto Pietro Mandrile, ragazzo caragliese ventunenne, che è andato nella foresta amazzonica del Suriname alla ricerca del Pescegatto Piraiba o anche conosciuto come Lau Lau. Dopo 14 ore di barca accompagnato da due guide locali, sul fime Coppename nel bel mezzo della selvaggia Amazzonia, tra villaggi indigeni, ha raggiunto una parte del fiume dove i locali sanno che il pesce vive e si riproduce e proprio lì ha catturato un esemplare di 90 kg, di 1,87 metri di lunghezza e una circonferenza massima misurata di ben un metro.
“È un’emozione unica – spiega Pietro Mandrile appena tornato dall’Amazzonia – un’avventura fantastica dopo aver visto e sentito diverse leggende riguardo a questo pesce e alla sua enorme forza e stazza ho deciso che avrei dovuto andare alla ricerca di uno di questi giganti. È stata la pesca che più mi ha stancato ma anche divertito, un sogno che avevo fin da piccolo. Una pesca pericolosa per cui bisogna prendere precuazione, dai vaccini al farsi accompagnare da guide del posto che conoscono perfettamente il luogo e i pericoli della foresta e dell’acqua dove prolificano piranha e coccodrilli”.
Mandrile, pescatore ormai da 13 anni che da 3 anni ha deciso di intraprendere viaggi per il mondo in paesi esteri alla ricerca di pesci iconici del mondo della pesca, non è nuovo a queste esperienze: a febbraio aveva pescato uno storione beluga da 50 chilogrammi a Beinette, era stato prima in India alla ricerca del pescegatto Goonch e poi in Svezia a pesca di lucci giganti. In solitaria è stato in Suriname dal 26 marzo al 2 aprile con due guide locali, otto giorni vissuti su una “zattera” con due abitanti locali a 15 ore di distanza di viaggio dall’ultimo villaggio abitato sul fiume. Usa la tecnica di pesca con il vivo che consiste nel pescare con reti pesci da 30/40 cm e usarli come esca per prendere quello grosso, che una volta fotografato viene rigorosamente rilasciato.
“Dopo i primi giorni di pesca – racconta Mandrile – ho capito sin da subito quanto queste acque fossero ostili , ore dopo ore, giorno dopo giorno, sul fondo del fiume ricco di vegetazione e la stragrande quantità di piranha, continuavo a perdere le mie lenze e in pochi giorni ho capito che avrei finito i miei ami se non avessi trovato una soluzione al problema piranha. Abbiamo deciso così di spostarci verso l’acqua più torbida dove i piranha potessero essere meno attivi … ed è qui che ho avuto la svolta. Dopo aver perso per la prima volta il pesce, non mi sono dato per vinto, e il giorno seguente sono riuscito nuovamente ad incappare in quel gigante, dopo 30 minuti di combattimento la mia canna si spezza in due sotto la forza di quel enorme lau lau ma dopo altri 10 minuti di lotta contro il pesce vedo emergere dalle torbide acque il mio sogno. Dopo aver fatto foto e video ho rilasciato il pesce”.