Vernante – Dalla finestra del salotto il ragionier Adorino Giordano ha visto per anni lunghe nubi di fumo uscire dalle due ciminiere della vetreria di Vernante. Durante il giorno e durante la notte, con il sole e con la pioggia. Erano il segno dell’attività frenetica e incessante che si svolgeva nella fabbrica. All’interno centinaia di operai stavano controllando i processi di fusione e le temperature dei forni, stavano tagliando le lastre prodotte e le stavano imballando per essere trasportate ai clienti. Adesso le ciminiere si alzano immobili sopra i tetti del paese, circondate dai resti della fabbrica, abbandonata dal 1978.
Il lavoro nella vetreria
La fabbrica occupa poco meno di trenta mila metri quadrati, si sviluppa orizzontalmente, addossata alle montagne. Ad un’estremità i binari, all’altra la strada che porta verso Limone.
La parte che si affaccia sulla stazione era quella adibita alla produzione del vetro, c’erano due forni, su altrettanti piani, e ampi magazzini per lo stoccaggio delle lastre. Affacciati sulla strada, al piano terra, c’erano alcuni uffici e dietro la struttura principale erano stati costruiti un laboratorio chimico, che analizzava le materie prime e verificava la qualità del prodotto finale, e una falegnameria, che produceva imballaggi.
“Era una bella fabbrica – ricorda Giordano, capo vendite dell’azienda, che per quarant’anni ha lavorato nella vetreria – dentro era ben tenuta, pulita, era sempre tutto a posto, la facevamo visitare volentieri ai clienti. Quando venivano a fare le trattative li portavamo sempre a vedere la produzione.”
Dai commerciali agli operai, tutti erano orgogliosi del piccolo gioiellino che era la vetreria, portavano alto il nome della fabbrica di fronte alla clientela e alla concorrenza delle grandi multinazionali.
La vetreria è stata fondata alla fine degli anni quaranta da un gruppo di vetrai e imprenditori piemontesi che avevano scelto Vernante per la sua vicinanza alle cave di silice, uno degli elementi principali per la fusione del vetro. Dopo alcune difficoltà iniziali la fabbrica ha cominciato ad imporsi sul mercato, arrivando a produrre tra le 70 e le 80 tonnellate di vetro al giorno, per 365 giorni all’anno.
Piero Castellino, direttore di stabilimento, tutte le mattine entrava nella vetreria e andava a controllare i forni. Parlava con gli operai di com’era andato il lavoro nella notte, chiedeva se c’erano stati degli intoppi. “Problemini ce n’erano sempre – ricorda Castellino – magari le temperature del forno erano andate fuori regime oppure la materia prima non era perfetta malgrado i controlli. A volte succedeva anche che mi chiamassero alle undici di sera dicendo dottò qua non va bene, c’è un problema. C’era la produzione a ciclo continuo, non ci fermavamo mai, né di notte né nei giorni festivi”. Producevano ininterrottamente lastre di vetro piano che poi venivano utilizzate come finestre o parabrezza di auto.
La cessione agli americani
Tra il 1974 e il 1975 l’azienda, che intanto aveva fondato una nuova sede a Cuneo, divenne proprietà della PPG (Pittsburg Plate Glass) che possedeva anche uno stabilimento a Salerno. Il gruppo prese il nome di Vernante Pennitalia.
Gli ex dipendenti della vetreria li chiamavano semplicemente “gli americani” e di loro ricordano l’efficienza e la precisione nelle questioni economiche, ma anche la gentilezza e l’attenzione con cui hanno sempre trattato i lavoratori.
Gli americani avevano comprato la vetreria perché interessati alla fabbrica di Cuneo. Quella di Vernante aveva una tecnologia ormai superata e non c’era sufficiente spazio per installare il nuovo sistema flot, per la produzione del vetro in orizzontale anzi che in verticale, come era stato fatto fino ad allora.
A partire dal 1975 si incominciò quindi ad avviare le procedure per la chiusura dello stabilimento di Vernante. Vennero spenti, uno dopo l’altro, i due forni, gli uffici furono trasferiti a Cuneo e i 200 dipendenti vennero in parte ricollocati e in parte mandati in prepensionamento.
L’ultima volta che il dottor Castellino è entrato nella fabbrica era un venerdì di fine febbraio del 1978. “Aveva nevicato molto e una parte del tetto era anche crollata, ma ormai non era più un problema importante.
Tutti i macchinari per la produzione erano stati spenti, rimanevano soltanto alcuni operai a spedire il vetro rimasto nel magazzino e alcuni falegnami che ancora producevano gli imballaggi da mandare a Cuneo. Ero andato su per salutare gli ultimi operai rimasti e per chiudere definitivamente la fabbrica. Il giorno dopo sono partito per Salerno, dove gli americani mi avevano mandato a fare il direttore di stabilimento”.
Le conseguenze della chiusura
“L’abbandono della fabbrica ha creato una tragedia a Vernante, ha avviato lo spopolamento del paese” racconta il ragionier Giordano indicando con un gesto le case che si vedono dalla finestra, quasi tutte vuote, in vendita. “Vernante allora contava circa 2500 abitanti ora sono 1300. Sono andati via a centinaia, la montagna si è spopolata e l’abbandono della fabbrica ha segnato l’inizio”. Intanto, dal suo abbandono, la vetreria è passata nelle mani di diversi privati che hanno fatto progetti per il suo abbattimento e per l’edificazione di appartamenti e negozi che però non sono stati realizzati e gli americano hanno venduto l’azienda di Cuneo ad una multinazionale giapponese.
Nel 2012 il comune di Vernante ha rimosso l’amianto dei tetti della fabbrica, ora rimangono soltanto le grate a coprire i muri scrostati e corrosi dalla pioggia. A mantenere viva la memoria della vetreria è la cinquantina di pensionati che ogni terzo giovedì di novembre si ritrova per ricordare gli anni di lavoro nella fabbrica. Prima la messa per i defunti, poi la foto di gruppo nella piazza e il pranzo al Park Hotel, il ristorante, a due passi dello stabilimento, in cui solitamente andavano a pranzare i dirigenti e i clienti che venivano ad accordarsi per l’acquisto delle lastre.
Racconta un ricordo
“Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l’abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza sospettare che, cinquant’anni dopo, i suoi quaderni mi sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato, e per sopravvivere al mio stesso terrore.” Da “La casa degli spiriti” di Isabel Allende.
Se anche voi, come Clara, avete annotato su un taccuino o semplicemente nella vostra mente alcuni episodio che riguardano la vetreria scriveteceli, serviranno per riscattare la memoria del passato nell’attesa di costruire un futuro.