
Si è concluso con quattro condanne il processo per la morte di Daniele Peroncelli, il 32enne titolare di un’impresa di impianti elettrici, che il 14 gennaio 2020 morì per le ferite riportate nell’urto della piattaforma elevata su cui si trovava – per cambiare alcune lampade posizionate ad otto metri di altezza – contro una capriata del soffitto del capannone della ditta Trae di Busca.
Per questo incidente mortale erano stati rinviati a giudizio i due titolari della ditta Im.Q., che gli avevano affidato il lavoro in subappalto, il proprietario del capannone e l’imbianchino proprietario della piattaforma sulla quale la vittima salì per svolgere il lavoro, anche se era privo di un patentino per il suo utilizzo.
Secondo l’accusa sostenuta dal Pubblico Ministero Alessia Rosati, tutti e quattro gli imputati, ognuno per quanto di sua competenza, avrebbero messo in atto, od omesso, azioni tali da portare al tragico incidente, a partire dal fatto che la vittima quel giorno non avrebbe dovuto trovarsi su quella piattaforma perchè sprovvisto della necessaria abilitazione, “carenze tecniche e organizzative della ditta che quel giorno non aveva strumenti per lavorare in quota nè dipendenti abilitati”, aveva concluso la Rosati. Alla ditta ImQ era stata appaltata la realizzazione di un nuovo capannone accanto a quello dove si verificò l’incidente e la sera prima, dato che i lavori erano terminati, era stata portata via la piattaforma della ImQ. La vittima infatti il giorno successivo salì sulla piattaforma portata lì la sera prima prima dall’imbianchino che avrebbe dovuto iniziare proprio quel giorno la tinteggiatura del nuovo edificio. L’artigiano ascoltato in aula nell’ultima udienza aveva ribadito la propria estraneità ai fatti, dicendo che dopo aver scaricato la piattaforma si era allontanato per andare a prendere il materiale che gli serviva per il lavoro e che non aveva dato a nessuno l’autorizzazione per utilizzare il suo carrello elevatore. Per l’accusa, però, era responsabile anche lui, così come il proprietario del capannone era responsabile in quanto non aveva controllato l’idoneità della ImQ a svolgere quel lavoro, “nemmeno per quanto riguardava i lavoratori autonomi che operavano all’interno della sua struttura”.
Per il titolare della Trae e l’imbianchino la richiesta di condanna era stata di due anni, in considerazione del tipo di responsabilità riscontrata e dell’avvenuto risarcimento per la moglie e la figlia della vittima. Pene di 3 anni erano, invece, state chieste per i due titolari della ImQ, senza la concessione delle attenuanti dato che non avevano provveduto al risarcimento.
Secondo le difese dei quattro imputati, però, quell’incidente sarebbe avvenuto per una manovra azzardata dell’artigiano che stava lavorando non nel contesto di un cantiere strutturato, in cui si dovevano rispettare precise norme di sicurezza, ma a cui era stato affidato un normale lavoro di ordinaria manutenzione e che quindi avrebbe dovuto provvedere da sé al reperimento dell’attrezzatura per la sua esecuzione. Un’interpretazione che avrebbe quindi sollevato sia la ditta ImQ che la Trae dall’adozione delle misure di sicurezza previste per cantieri strutturati, così come il proprietario della piattaforma, il cui mezzo sarebbe stato usato in sua assenza e senza il suo consenso. Una ricostruzione contestata, però, dall’accusa che aveva escluso che la vittima si fosse “appropriato di quella piattaforma e delle sue chiavi, perchè alla ImQ era normale affidare lavori in quota anche a dipendenti non abilitati e perchè questo sarebbe avvenuto già il giorno prima”. Una responsabilità dei quattro imputati riconosciuta dal giudice
che ha condannato l’imbianchino ad 1 anno di reclusione e il titolare della Trae ad 1 anno e 4 mesi di reclusione; pene di 2 anni di reclusione e sanzioni di 10mila e 6mila euro invece per i due titolari della ditta ImQ, condannati anche al risarcimento dei familiari della vittima costituiti in giudizio; in attesa del decisione in sede civile, i due sono stati condannati al pagamento di una provvisionale di 50mila euro ciascuna per moglie e figlia, 30mila e 10mila euro rispettivamente alla madre e alla sorella della vittima.