Vive in un equilibrio leggero, ancorché pericoloso, tra il solo e il solitario questo singolare piccolo saggio dagli evidenti tratti dell’autobiografia. È una scelta di vita che porta l’autore a trasferirsi da Milano a un paese della Valle Sesia. Non una scelta altezzosa, tanto meno di rifiuto. Né pretende di essere esempio. Piuttosto è un seguire l’impellente bisogno di avere e godere dello spazio intorno a sé.
Non si tratta di riceversi addosso la solitudine, bensì di sceglierla. Certo, è una posizione per molti versi privilegiata, che non esclude però fatica e domande. L’autore ne è consapevole, ma sembra dire che tra le mani ha soltanto questa scelta maturata negli anni. Può parlare solo di se stesso, perché ne fa esperienza diretta, senza cadere nell’eccesso di parole vuote.
Per questo i pensieri si incastrano l’uno nell’altro poggiando sullo schema autobiografico. Dall’infanzia alla maturità, dalle prime avvisaglie alla scelta cosciente, il cammino è lineare. Qualche asperità, qualche domanda sul sentirsi “sbagliato”, ma poi una sempre più chiara idea di solitudine come possibilità di esistere. C’è la battuta sulla possibilità di vestirsi come si vuole, ma è un momento fugace perché incalza la necessità di riflettere su questa sua condizione.
Da bambino sente “l’incubo del calcio”: quando tutti giocano, parlano, persino alzano la voce, lui sembra disinteressato. Si rifugia nei libri: “Quando impari a leggere smetti di essere solo” e diventi solitario. Il libro non è condanna, bensì liberazione. Non è rifiuto, ma isola da cui guardare il mondo.
Allora lo sguardo si allarga alla vita, all’adolescente che diventa giovane poi adulto e con lui cambia il paese che ha intorno. Non è solo questione di sviluppo e di crisi (il Novecento li contempla entrambe), ma diventa un modo di vivere il paese. Il solitario ha tutto il tempo per cogliere le sfumature di un paesaggio rubano e umano. Così quell’ambiente mille volte visto, attraversato, assaporato nei profumi diventa anche ambiente vissuto nell’intimo. E tutto questo, dice l’autore, grazie alla solitudine scelta.
D’altro lato è consapevole che “la bella solitudine non è per tutti”. Ci vuole il “coraggio di stare sull’abisso”, sempre immerso nel rischio di passare da solitario a solo. Poco più in là in agguato c’è un male di vivere incarnato nelle tentazioni della depressione. È qui, dice l’autore, che “il solitario si mette alla prova”.
Eppure quando si attinge a questa solitudine la prospettiva da cui guardare la vita cambia. In “assenza di rumori di fondo” il solitario prende tempo per sé, affina la capacità di ascoltare se stesso e gli altri, apre persino fa incontrare spesso Dio, “cogliere in ogni gesto una liturgia, in ogni angolo la sacralità del mondo”.
Il suono della solitudine
di Michele Marziani
Editrice Ediciclo
9,5 euro