Il 28 ottobre 2015 una barca naufraga al largo dell’isola di Lesbo. Era partita dalla Turchia con più di trecento migranti a bordo. Le cifre ufficiali parlano di almeno quarantatré morti, un imprecisato numero di dispersi e circa duecento sopravissuti.
Tra questi c’è Rezwana Sekandari. Ha tredici anni. Si salva, ma in una manciata di minuti ha perso tutta la sua famiglia.
Il suo viaggio era iniziato a Kabul. Il 28 ottobre però non ne segna la fine. Anzi per lei è un nuovo inizio fatto di peregrinazioni infinite questa volta tra le pastoie della burocrazia europea. Un percorso tortuoso che lei non capisce, perché ha il solo desiderio di raggiungere la zia in Svezia. Anche lì però le cose non andranno meglio.
Il libro si presenta con una struttura spirale che continuamente ritorna a quel 28 ottobre. È un impianto narrativo che fa tutt’uno con i ricordi di Rezwana. Ricordi che continuamente rimandano a quell’esperienza drammatica che fatica a sedimentarsi nella memoria.
A segnare i passi del cammino lungo questa spirale sono una serie di persone che nelle ore immediatamente successive al naufragio incontrano la bambina. Prima fra tutte Charly, la volontaria che se ne prende cura e negli anni mantiene con lei uno stretto rapporto. Poi tanti altri che, giornalisticamente, per la coautrice sono fonti preziose per ricostruire l’esperienza della ragazzina, ma umanamente sono persone che hanno dimostrato sensibilità e accoglienza.
A fronte di chi si lascia toccare dal quadro devastante apertosi davanti agli occhi, c’è la burocratizzazione della questione migranti. Norme paradossali che travolgono la bambina. Dove le sembra di aver finalmente trovato un abbozzo di pace, piombano le norme implacabili.
Applicare la legge diventa considerare l’ormai adolescente Rezwana alla stregua di un ospite scomodo. Dalla Svezia, faticosamente raggiunta, viene rispedita in Grecia. Lì infatti la legge individua il primo stato di approdo: a quello stato dunque il compito di decidere sul suo futuro.
È un libro che si presenta come un diario intimo a più voci, in cui la giornalista coautrice il suo ruolo di coordinare gli interventi, di tradurre in parole “quel limbo emotivo in cui rimangono sospesi i familiari dei dispersi, condizione psicologica in cui il dolore si mescola alla speranza, e la speranza si trasforma in disperazione man mano che gli anni passano e non si sa dove si trovi la persona cara, viva o morta che sia”.
Sospesa. Una vita nella trappola dell’Europa
di Mariangela Paone, Rezwana Sekandari
Editrice Add
euro 18