Aveva cercato di rientrare in possesso dei 980 euro che a più riprese gli aveva prestato ma si ritrovò con il parabrezza danneggiato. È il racconto che D. E., 45enne nigeriano, ha fatto davanti al giudice chiamato a decidere del reato contestato al suo collega di lavoro G. E., accusato di aver sferrato un pugno sul parabrezza della sua auto il 22 agosto 2022. “Prendevo lo stipendio qualche giorno prima di lui e per qualche mese mi chiese se gli anticipavo cento o duecento euro e io glieli davo, fino ad arrivare a 980 euro”. A quel punto la vittima del reato ha riferito che il collega sparì dalla circolazione non venendo più al lavoro e non rispondendo neanche al cellulare. “Accadde poi che morì mia madre e dovevo mandare dei soldi al mio Paese, così andai a casa sua per avere almeno una parte dei soldi, ma trovai il fratello che mi minacciò di morte se fossi tornato a cercarlo”. Dopo qualche giorno l’uomo però tornò a casa del suo debitore, lo trovò e tornò a chiedergli la restituzione dei soldi: “Non mi ascoltava e continuava a parlare al telefono allora glielo presi dalle mani e lui chiamò il fratello che era in casa. Io scappai in auto, lo vidi alzare il braccio, non so se avesse qualcosa in mano ma colpì il parabrezza e lo spaccò”. L’uomo partì di corsa deciso ad andare dai Carabinieri, ma incrociò un’auto di pattuglia che stava andando proprio in direzione della casa del suo collega e la seguì. Era stato infatti G. E. a chiamare i militari lamentando l’aggressione da parte del suo creditore: “G. E. ci raccontò della lite per il debito non saldato – ha riferito in aula il brigadiere intervenuto sul posto -, disse di essere stato spinto a terra e ci mostrò delle escoriazioni sulla gamba e la mano destra sanguinante, accusava l’altro uomo di avergli preso il telefono”. La vittima del danneggiamento ebbe modo di spiegare ai militari che cosa era successo, e restituì il cellulare: “Lo avevo preso solo per costringerlo a ridarmi almeno una parte dei soldi, la ferita alla mano ce l’aveva perché aveva sferrato un pugno sul parabrezza”. Per il pubblico ministero Annamaria Clemente il fatto era stato provato, con l’ammissione dello stesso imputato riguardo al debito e con la constatazione che la ferita sulla mano corrispondeva alla rottura del parabrezza e per questo l’accusa ha chiesto la condanna dell’imputato a sei mesi di reclusione, richiesta cui si è aggiunta la richiesta di risarcimento avanzata dal legale della vittima per 1.500 euro. Per la difesa invece le ripetute richieste di restituzione del debito erano al limite degli atti persecutori, tanto da aver spazientito il fratello dell’imputato. Difficile credere che un semplice pugno abbia potuto lesionare un parabrezza e per questo la difesa ha chiesto l’assoluzione del proprio assistito o quantomeno il riconoscimento dell’attenuante della provocazione. È arrivata invece dal giudice una condanna a 9 mesi e 10 giorni di reclusione oltre al risarcimento di mille euro per la vittima del reato.
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