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Lunedì 3 febbraio 2025

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Niente demolizione per la captazione che alimenta la centralina di Pian della Regina 

La sentenza del Consiglio di Stato dà ragione ai Genre e torto al Comune, al quale i giudici rimproverano una lunga serie di “errori”. Sconfessata la sentenza opposta del Tar del Piemonte 

Crissolo

La Guida - Niente demolizione per la captazione che alimenta la centralina di Pian della Regina 
Crissolo - centralina idroelettrica di Pian della Regina
Anche se un’ispezione sul posto aveva accertato la presenza di abusi edilizi, la captazione che da Pian Fiorenza fornisce acqua alla centralina idroelettrica di Pian della regina di Crissolo non dovrà essere demolita.
Lo stabilisce la sentenza – a dir poco inattesa – pronunciata dal Consiglio di Stato che sulla vicenda ha, in un sol colpo, dato ragione alla Sipre di Gabriele Genre, sconfessato un precedente pronunciamento del Tar del Piemonte e dato torto al Comune di Crissolo, condannandolo a risarcire alla Sipre le spese del doppio grado di giudizio in favore, che ammontano ad 8.000 euro, oltre ai diritti ed accessori di legge ed al pagamento della parcella presentata da chi ha effettuato il sopralluogo.
Tutto nasce con la comunicazione del Comune di Crissolo di avvio di procedimento di contestazione della regolarità delle opere di captazione (finalizzate all’approvvigionamento della sottostante centralina) realizzate dalla Sipre.
L’11 giugno del 2020 la stessa Sipre cerca di correre ai ripari presentando “istanza di rilascio di un permesso di costruire in sanatoria” che il Comune rigetta, ordinando alla Sipre stessa la “demolizione e la rimozione delle opere abusive difformi dal progetto e il ripristino dello stato originale dei luoghi”, dal momento che l’abuso non sarebbe sanabile in quanto compiuto su terreni demaniali.
La Sipre ricorre al Tar chiedendo la sospensione cautelare dell’efficacia, del provvedimento adottato dal Comune: richiesta che il Tribunale Amministrativo respinge al mittente. Il 28 febbraio 2023, la Sipre torna alla carica e presenta una nuova istanza di permesso di costruire in sanatoria per le opere eseguite in difformità che il Comune respinge “ritenuto di aver già valutato la richiesta proposta dalla società” e riconferma la demolizione.
Nuovo ricorso al Tar della Sipre (anch’esso respinto) e nuovo ricorso al Consiglio di Stato contro l’ordinanza di demolizione ed il diniego di domanda di sanatoria adottati dal Comune di Crissolo. Qui la “sorpresa”.
Nelle sue otto pagine di sentenza, il Consiglio di Stato rileva innanzitutto il fatto che l’ispezione sul luogo “ha accertato che gli abusi sono stati sì realizzati, ma nel perimetro dall’area oggetto di concessione demaniale e che le opere sono altresì strumentali alla conduzione dell’impianto idroelettrico. Poi il fatto che “la collocazione delle opere eseguite in difformità e la loro connessione strumentale all’attività dell’impianto di produzione d’energia da fonti rinnovabili – che, va sottolineato, nell’odierno ordinamento, in vista della lotta ai cambiamenti climatici, rientra fra le attività di primario interesse nazionale – non sono state prese in considerazione dal Comune al momento di comminare la sanzione demolitoria”. L’errore del Tar – recita la sentenza – si è consumato “laddove questi ha ritenuto la (seconda) domanda di sanatoria meramente confermativa della precedente, avallando il comportamento del Comune di non dover scrutinare l’istanza presentata dalla società. Il Comune, prima di respingerla, avrebbe dovuto svolgere adeguata istruttoria all’esito della quale, constatato l’identico contenuto di due istanze, avrebbe potuto confermare il contenuto del provvedimento precedentemente già emanato.
In aggiunta – scrivono i giudici – il Comune non ha considerato che le opere cosiddette “bagnate”, fra le quali rientrano le presa e sbarramento, al termine della concessione idroelettrica passano, senza compenso, in proprietà delle Regioni, in stato di regolare funzionamento. In definitiva, l’ingiunzione alla rimozione “non si profila affatto come atto vincolato: la natura delle opere realizzate in difformità, la disponibilità del suolo su cui esse ricadono e, da ultimo, l’interesse pubblico all’adeguamento funzionale di opere destinate, scaduta la concessione, al patrimonio regionale, avrebbero dovuto indurre il Comune quantomeno a valutare l’adozione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria”.

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