Si è concluso con una condanna il processo M. A. D. C., cittadino ecuadoregno residente a Cuneo di professione cuoco, accusato di resistenza a pubblico ufficiale avvenuta in piazza Boves il 17 febbraio 2024. Quella sera gli agenti di una pattuglia della Polizia dopo aver raccolto la denuncia di un uomo di origine marocchina che sosteneva di essere stato derubato da alcune persone in piazza Boves, si erano recati sul luogo del presunto delitto dove il denunciante aveva indicato tre uomini, tre cittadini ecuadoregni che passeggiavano fumando nei pressi del locale sotterraneo dove stavano festeggiando un battesimo. Gli agenti avevano riferito che i tre non si erano dimostrati collaborativi alla richiesta di esibire i documenti e anzi uno di loro, l’imputato del processo, avrebbe assunto da subito un atteggiamento aggressivo agitando in aria la mano in cui teneva la sigaretta, quasi a volerla puntare contro gli agenti per spegnergliela addosso. “A un certo punto agitò un pugno come a voler colpire alla nuca il mio collega”, riferì in aula l’agente che estrasse il teaser e colpì M. A. D. C. che cadde immediatamente a terra e successivamente fu ammanettato. Dal locale dove si stava festeggiando uscirono parenti e amici dei tre uomini e la situazione si scaldò ancora di più, tanto da indurre gli agenti a chiedere il supporto di altre pattuglie. Secondo gli agenti quella folla voleva impedire l’arresto ostacolando così anche il trasferimento dell’uomo al pronto soccorso. Completamente diverse le versioni di alcuni testimoni che avevano partecipato alla festa tra cui la compagna dell’imputato che ha negato di aver ostacolato l’intervento dei sanitari, consapevole dell’urgenza del loro intervento poiché il compagno soffriva di tachicardia ed era disteso a terra con la bava alla bocca. Secondo l’avvocato dell’imputato anche le immagini delle telecamere del Comune evidenziavano come non ci fosse alcun tentativo di sottrarsi al controllo di Polizia da parte dei tre uomini che nel momento in cui arrivò la pattuglia camminavano lentamente e si fermarono subito all’invito degli agenti. “In realtà era il marocchino che insieme ad altri tre voleva per forza entrare alla festa e quando gli dicemmo che non potevano perché era una festa privata si arrabbiarono scagliando contro di noi bottiglie di birra”. L’imputato aveva riferito che quando gli agenti si rivolsero a suo cugino per avere i documenti, lui alzò la mano per far notare che lui non parlava italiano. “Io avevo i documenti nella giacca nel locale ma non mi consentirono di andare a prenderla”. Per l’accusa le immagini avevano invece dimostrato chiaramente l’atteggiamento aggressivo dell’imputato per il quale era stata chiesta la condanna a un anno di reclusione. Per la difesa invece si era trattato di un grosso equivoco dovuto al fatto che gli agenti sentendo che il fatto si era svolto in piazza Boves, erano stati indotti a credere di dover scendere in azione in una piazza definita come particolarmente attenzionata. “Una situazione di stress da cui è derivata una interpretazione travisata del comportamento dei soggetti sottoposti a controllo”, ha concluso l’avvocato Gabriele Perano chiedendo l’assoluzione per il proprio assistito. Una ricostruzione che però non è stata accolta dalla giudice che ha condannato M. A. D. C. a sei mesi di reclusione disponendo anche l’invio degli atti del processo alla Procura per valutare l’ipotesi di falsa testimonianza del fratello dell’imputato.