La migrazione raccontata dalla poesia non perde nulla della sua tragicità. La voce dell’autrice, nata a Mogadiscio e naturalizzata italiana, si leva forte, senza fronzoli attraverso ricordi e parole che si scolpiscono nette sulla pagina. La poesia non consente spazi distesi. Ogni verso incalza. L’urgenza di dire il vissuto personale, ma condiviso con migliaia di altri, si impone e interpella.
“C’era un tempo in cui partire era sollievo e paura”, ancora c’era spazio per progettare. Oggi l’esperienza del viaggio non può che confrontarsi col mondo quello lasciato e quello incontrato. Le radici sono racchiuse nella conchiglia affidata alle mani di una bambina, nei ricordi dell’Africa “madre, terra, culla, seno, nutrimento”. Radici strappate bruscamente eppure conservate nascoste dentro, che si rendono visibili nei tratti somatici, negli abiti colorati indossati “in memoria della nostra storia” che “i ladri di anime hanno seviziato e ucciso”.
Il corpo in queste poesie è presenza concreta, quasi tangibile. Orgogliosamente trova spazio sia come affermazione della propria identità sia, soprattutto, come proclamazione dell’umanità stessa. L’insulto e la violenza al corpo è anzitutto disprezzo della persona. L’autrice non usa mezze parole nello smascherare l’ipocrisia degli sguardi che si posano sui corpi, “involucro nudo e nero” alla mercé di occhi disattenti talora persino “sporchi”.
La difficoltà della lingua, il quotidiano dolore di aggrapparsi alla vita, l’indifferenza che ferisce e abbandona sul ciglio della strada, la stanchezza che abbatte “le ultime mura difensive” sono altri temi che affiorano con delicatezza. Tra questi versi affiora qualche timido raggio di luce nelle ultime poesie “aprendo il cuore a battiti vivi e palpitanti”.
Il grido e il sussurro
di Rahma Nur
Editrice Capovolte
euro 12