“Ci siamo buttati nelle fiamme per tirarlo fuori dalla cella e portarlo in salvo”; con queste parole il vice ispettore di Polizia penitenziaria in servizio il 13 ottobre del 2021 al carcere di Cerialdo ha descritto il salvataggio di L.A., detenuto sottoposto al 41bis che aveva dato fuoco alla cella nel tentativo di suicidarsi e che è stato rinviato a giudizio con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento a seguito di incendio.
Alla domanda del pubblico ministero su come avesse opposto resistenza al tentativo degli agenti di farlo uscire dalla cella, il vice ispettore ha risposto al giudice che l’uomo alla loro vista aveva fatto un passo indietro nelle fiamme che erano già abbastanza alte da invadere la cella di fumo e da arrivare alle ante degli armadietti e alle suppellettili, oltre ad aver già bruciato materasso, lenzuola e gli altri mobili. Gli agenti riuscirono ugualmente a tirarlo fuori a portarlo in salvo, prima nella sala comune e poi in infermeria per le cure del caso. Ci vollero 15 minuti per spegnere l’incendio con l’estintore e una squadra di addetti per riverniciare la cella e arredarla nuovamente.
Detenuto in regime di 41 bis da sette anni, da quando era stato arrestato nell’ambito di un’operazione sull’ndrangheta reggina e poi condannato in primo grado a 18 anni con sentenza annullata per problemi di notifica e processo da rifare, l’uomo aveva già tentato altre volte di togliersi la vita e per questo motivo fino a qualche giorno prima era stato sottoposto al regime di massima sorveglianza con osservazione a vista giorno e notte. “Non volevo provocare danni a qualcuno, volevo solo morire”, ha detto l’uomo al giudice a conclusione dell’istruttoria e prima della discussione che si terrà il 12 febbraio.