Clara Daniele di Boves, laureata in Storia e critica del teatro al Dams di Torino con una tesi sul teatro d’avanguardia di Perla Peragallo e Leo de Berardinis, dal 2005 al 2015 lavora con i tessuti sostenibili in un’ottica di rigenerazione e di recupero, cercando di andare alla radice della storia che il materiale tessile porta con sé. La propria ricerca personale parte dunque da una relazione ibrida e contaminata tra teatro, sartoria e fotografia, mezzi espressivi che usa per portare avanti la propria ricerca personale.
Nel 2013 vince il primo premio del Concorso Nazionale Moda Etica, organizzato e patrocinato dalla Direzione Generale degli archivi del Ministero per i beni e le attività culturali e dal Comune di Firenze, presentando parte della collezione “Radici”, realizzata interamente in tela di casa, la tela di lino e canapa tessuta a mano e usata come corredo nuziale dalle giovani spose. A giugno 2014 presenta a Palazzo Pitti a Firenze la Collezione Kimono, riadattando e decostruendo kimono dei primi del Novecento in collaborazione con la Galleria del Costume di Palazzo Pitti e la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Etnoantropologico e per il Polo museale della città di Firenze.
A partire dall’agosto 2015 intraprende, senza più porsi dei limiti, la propria ricerca in campo artistico e da questa rottura col passato e attraverso la nascita di una nuova consapevolezza nascono diversi progetti: Da agosto 2015 a febbraio 2016, per sei mesi, cura l’installazione “Radici” in un bosco abbandonato. L’installazione, realizzata con gli abiti bianchi presentati al concorso di Moda Etica, ha dialogato per 180 giorni col bosco e col passare dei mesi si è trasformato, si è integrato sempre di più con lo spazio naturale circostante, interagendo con le persone di passaggio attraverso un diario di bordo e un reportage fotografico dilatato nel tempo. Ad aprile 2017 viene selezionata nel Circuito Off dell’Edizione 2017 del festival Fotografia Europea di Reggio Emilia col progetto Chrysalis. Ad ottobre 2017 vince il primo premo nella sezione Arti Visive del Concorso “Ricorda di essere stato straniero” della Fondazione Nuto Revelli. A novembre 2017 e vince il Concorso “Image no violence on woman” indetto dall’ associazione ArTs di Trieste. Dall’1 al 30 marzo 2019 espone il progetto ExVoto presso la galleria Mémoire de l’Avenir di Parigi nella colletiva La femme du futur. Nel mese di giugno 2021 partecipa alla Residenza Artistica Terre e Trame di Mongia e espone la sua opera Sedimenti | di generazione in generazione | presso l’antica sede della confraternita di Santa Caterina, Lisio. Durante l’anno di pandemia studia e cura, insieme ad Alessandra Spigai, il progetto artistico “La forme fermèe” uno studio che parte dalla figura di Camille Claudel per indagare in maniera estesa la condizione dell’artista donna, in collaborazione con l’Associazione ArTS – comparison of contemporary arts – Trieste. Nel 2022 ha opartecipato a grandArte Help a Palazzo Samone di Cuneo con una bipersonale con Michele Bruna dal titolo “Intima materia”.
La ricerca di Clara Daniele ha trasportato la materia esterna nell’intimità interna del corpo, nel senso ampio del termine. Il tessuto, strappato in lunghe bende e impastato di acqua e farina, è servito come materiale scultoreo per creare casse toraciche cave, lasciando intravedere l’ossidazione interna generata dal trascorrere del tempo, dal sangue ferroso e dalla vita. Il lenzuolo integro, invece, è stato utilizzato come sindone laica per accogliere e trattenere i segni astratti che la ruggine ha generato nei mesi di lavorazione al progetto, quasi come un’operazione fotografica di esposizione multipla. I lavori precedenti dell’artista, quelli incentrati sulla sutura delle ferite, riaffiorano attraverso il nuovo tentativo di salvare e ricucire la materia ferrosa ormai ossidata e impossibilitata a rimanere integra, generando un’ulteriore stratificazione di senso che si fa soglia per nuove possibilità espressive.
“La ricerca di Clara Daniele si basa principalmente sull’analisi delle possibilità date dai concetti di tempo e di memoria. L’artista è interessata a sondare le zone di confine, il filo invisibile che lega la realtà e il sogno, le tracce di un’umanità perduta, lo spettro, diventato indecente, della morte. Si occupa di recupero: recupero di storie personali, di percorsi abbandonati, recupero di oggetti, recupero di paure e desideri che possano far evolvere la conoscenza e la coscienza di sé. Ricerca la poesia nascosta nella polvere che ricopre gli oggetti, cerca di dipanare i fili perduti che potrebbero narrare una storia, sente la necessità di rispettare l’aura sacrale dei materiali per andare a sondare fisicamente il tema dell’abbandono e della perdita. In sintesi, la sua poetica si dirige verso ciò che porta un turbamento, che impedisce il senso di distanza: le sue opere, per essere comprese appieno, possono e devono essere toccate. Clara Daniele è interessata alla crepa che celebra un’estetica dell’imperfezione, alla ferita che fa passare e scompone il raggio di luce, alla stortura che contiene in sé il germe della bellezza”.
“La mia ricerca -scrive – si basa principalmente sull’analisi delle possibilità date dai concetti di tempo e di memoria. Mi interessa sondare le zone di confine, il filo invisibile che lega la realtà e il sogno, le tracce di un’umanità perduta, lo spettro, diventato indecente, della morte. Mi occupo di recupero: recupero di storie personali, di percorsi abbandonati, recupero di oggetti, recupero di paure e desideri che possano far evolvere la conoscenza e la coscienza di sé. Ricerco la poesia nascosta nella polvere che ricopre gli oggetti, cerco di dipanare i fili perduti che potrebbero narrare una storia, sento la necessità di rispettare l’aura sacrale dei materiali per andare a sondare fisicamente il tema dell’abbandono e della perdita. In sintesi, cerco di andare verso ciò che mi regala un turbamento, che impedisce il senso di distanza. Mi interessa dunque fare arte per coinvolgere i sensi di chi guarda, un’arte viva che non nasca in un’asettica sala operatoria dove tutto è sterile, bianco e senza vita. Con il mio lavoro artistico desidero far correre il rischio di provare un’emozione, una commozione; desidero salvare dall’oblio la miriade di vissuti che altrimenti andrebbero persi, andando a scavare con le mani nelle pieghe del tempo per ritrovare ciò che è coperto di polvere, che è andato perso, che è stato dimenticato. Mi interessa la crepa che celebra un’estetica dell’imperfezione, la ferita che fa passare e scompone il raggio di luce, la stortura che contiene in sé il germe della bellezza. Il mio lavoro artistico si basa sull’uso degli oggetti che rivelano un senso della storia, è un tentativo di localizzare la poesia nelle relazioni e nelle combinazioni tra gli oggetti e gli elementi naturali che mi circondano, con tutto il loro carico di significati ancestrali e simbolici. Oltre al mezzo fotografico, spesso come materiale per i miei lavori uso aghi, filo, abiti, tessuti, scarpe perché ciò che è stato in contatto con il corpo ne assorbe le pulsioni, la forza vitale, il respiro e, a volte, l’eco dell’anima di chi li ha abitati. Attraverso la storia evocata dagli oggetti cerco di rivelare i loro e i miei molteplici strati, la mia e la loro verità, il loro essere specchio dei vissuti di tutti nel tentativo di creare un disvelo intimo e personale, tessendo un legame sottile ma indistruttibile con la memoria personale di ognuno”.
“Il risultato – scrive Sandro Bozzolo – una materia intima che si porta addosso tutte le materie intime possibili: figure e sogni, memorie e turbamenti, tradizioni e legami. L’immensamente grande e l’ infinitamente piccolo racchiusi in un discorso complementare e senza fine, libero di sperimentare nuove forme di associazione tra ferro e cuore, riscattando l’elemento umano dalla materia fredda delle supernove”.