Compito di un libro è “accendere la luce nei palazzi dei cervelli deserti”. Christian Bobin ne è consapevole e, pur scrivendo pagine che paiono confessioni a fior di pelle, non si sottrae all’impegno etico di risvegliare nel lettore “quel che giace addormentato dietro ai nostri occhi”. Letto in simile prospettiva questo, come gli altri libri dell’autore, appare una riflessione sulla “banalità della vita quietamente innalzata al di sopra di sé”.
Un cavallo in mezzo a un prato gli ispira la sensazione che “la vita non è in collera con noi”. Sembra un azzardo eppure siamo su un terreno che vanifica i confini tra la prosa e la poesia, tra l’immagine sorretta dai sensi e il suo lavorio interiore che sfocia in uno sguardo diverso, rinnovato e fiducioso sul mondo.
È il manifestarsi di quell’uomo-gioia che si nutre di azzurro. Prima di farsi vita è un atteggiamento esistenziale che Bobin lascia distendere in tutte le pagine, assecondandone i suggerimenti e correggendo il proprio sguardo ora capace di trasfigurare ogni esperienza. Non si tratta di banale retorica del positivo. Il mondo è un campo di battaglia. Il dolore è di casa, purtroppo. Quel che l’autore vuole condividere col lettore è la prospettiva da cui guardare questo mondo: “massacriamo la dolcezza della vita ed essa ritorna sempre”.
Come poeta, scopre questa vita nelle fragili ali di una farfalla, nell’uccello che vola nel sottobosco vestito d’oro. Come uomo, eccolo confrontarsi con quel mondo che pare contraddire queste sue sensazioni. È il sistema economico che ha perso di vista la piccolezza dell’uomo e su cui Bobin è sarcastico: “ho fatto a gara di velocità con una formica, che mi ha battuto. Allora mi sono seduto e ho pensato agli schiavi miliardari di Wall Street”. È la falsità del comunicare pubblicitario “peggiore della fine del mondo”. È la stessa morte, ritrovata come dimensione dell’umano senza affatto scordare la componente del dolore per l’assenza che gli fa scrivere righe piene di sincero affetto. È il male diffuso a cui il poeta non si rassegna a concedergli l’ultima parola: “ho preso la mano del diavolo. Sotto le sue unghie nere ho visto della luce”.
Permea di sé tutto il libro il tema della scrittura. “Si può attraversare il guado della morte solo con una poesia in tasca”, dice pensando al suo oltrepassare il confine della vita e confessa “il mio ideale di vita è un libro”. La pagina scritta serve per “raggiungere il punto in cui essa (la luce) non conosce più eclissi”. Così quel compito etico del libro si associa a un sostegno salvifico perché essere poeti significa “guardare la vita e la morte in faccia e risvegliare le stelle nel nulla del nostro cuore”.
Questo azzurro. L’uomo-gioia
di Christian Bobin
Editrice Sanpino
euro 13,5