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Venerdì 22 novembre 2024

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Quel gioco astratto delle macchie chiaroscurali rapprese di memoria

Stefano Allisiardi è uno dei talenti artistici della provincia lavora principalmente sulla pittura su carta e sulle tecniche calcografiche e litografiche

Savigliano

La Guida - Quel gioco astratto delle macchie chiaroscurali rapprese di memoria

Stefano Allisiardi è un artista di Savigliano, ma oggi vive a Cuneo di 34 anni. Ha studiato presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, indirizzo Incisione e Grafica d’ Arte con i docenti Franco Fanelli e Daniele Gay. Agli studi artistici ha affiancato quelli musicali, diplomandosi in Chitarra Classica presso il Conservatorio Ghedini di Cuneo nel 2013. Lavora principalmente sulla pittura su carta e sulle tecniche calcografiche e litografiche.
Negli ultimi anni, tra le altre, ha partecipato alle seguenti iniziative: Lagrange 12, Open Air Gallery, Torino, 2015; Museo ‘’G.Fattori’’ (esposizione finalisti premio Combat Prize), Livorno, 2015; The Others Art Fair, Galleria Ron Lang Art (Amsterdam), Carceri Le Nuove-Torino; Akademia Sztuk Pieknych, Varsavia, 2016 e Accademia di Belle arti, San Pietroburgo,2016.
“Gli inchiostri in bianco e nero e gli acquerelli e rolla su carta di Stefano Allisiardi – scrive Enrico Perotto – sono attraversamenti dicromi nella storia del costume nobiliare d’Ancien Régime, fissando le apparenze di fugaci personaggi maschili in armatura da parata o di eleganti dame assise in poltrone a braccioli. Si tratta di immagini evocative, fuoriuscite dalle cornici di lontane tele vandyckiane, in parallelo con il racconto di Edgar Allan Poe intitolato Il ritratto ovale. Allisiardi, però, sembra volerne ribaltare la visione estetica, perché per lui la bellezza originaria di quei sembianti si è affievolita ed è appena trattenuta sulla soglia del visibile dalle sue pennellate turbinose. Un passato glorioso può così riemerge nel presente ed essere destinato a sguardi capaci di coglierne l’intatto valore nel gioco astratto delle macchie chiaroscurali rapprese di memoria”
“Due gli elementi essenziali in questo mondo di Stefano Allisiardi: la natura vegetale del rimando, e il carattere impressivo del segno – scrive Giovanni Tesio -. Alla confluenza, la congiunzione di un dettato coerente e congiuntivo. La natura come un erbario, la natura come giardino dei semplici, la natura come discesa vegetale dell’umano. Come dice Thoreau in Walking, si può sperare ben poco da una civiltà che abbia smarrito la sua natura vegetale. Ma subito dopo Il guizzo, il tratto sintetico, quello che in letteratura si chiamerebbe lo stile discontinuo, il contrario dell’opulenza: la semplicità, il richiamo e il rimando secco, la suggestione del breve, del principio, dell’epigrafico, dell’allusivo… Qui c’è l’ovale. Ovali piccoli e grandi, dai margini a volte esatti e a volte frastagliati che evocano lontananze, compongono universi, fluttuano in metamorfosi in cui è difficile – se non improprio – discernere cielo e terra, concreto e astratto. Un informale che aggalla in forme, mondi – ma ben mi si intenda, per pura e personale illazione – tra Inghilterra e Giappone, tra Turner e Corot, reali ed evocativi insieme; luoghi connotati e terrains vagues in cui soprattutto il rosso incide la sua costante di infusione. Materiali poveri con cui si allude a una impossibile cattura di atmosfere che sembrano congiungersi in un’armonia musicale, in un arcano incanto. Carta e vegetale vanno qui coniugandosi in una sorta di simbiosi, di mutua comunione, di reciprocità. E poi c’è la pennellata lesta, che non è tanto uno sfondo, ma un’unità, una stretta parentela che definisce ed esalta il décor. L’effetto è scenografico, ma ad un tempo tutto giocato in levare. La scelta della carta – di questo fermare sulla carta – è un indice di scelta povera, essenziale, ma nel povero il ricco, ma nel poco il molto. Niente di troppo, e dove c’è il meno c’è il più. Una quantità di riferimenti, che qui prendono una via di verità. Non sono – si badi bene – contemplazioni di morte, come a volte accade in certi citazionismi onirici, in certe costellazioni di memoria ritualistica, un po’crepuscolare (gli erbari come cataloghi, per quanto preziosi, un po’ cemeteriali). Ma invece invenzioni di vita, un crogiolo di colori vitali. Ma anche qui, non solo; perché negli azzurri e nei marroni, nelle tinte più carnali e più morbide si gioca tutto il tessuto della varietà di natura, di una terrestrità che procede da una profonda immersione. Non c’è figura umana, come in certi medaglioni settecenteschi che colgono momenti d’interni e morbide evocazioni di vita quotidiana ma come fissata in stereotipi. Qui, invece, pur nella remota affinità dei possibili, ad accamparsi è la purezza davvero fascinosa di un’emersione. Come a dire che nella superficie sta la profondità, ma che nell’incanto evocativo del segno e dei colori vive e pulsa il segreto di un’origine. Toni accesi, addirittura fiammeggianti che sferzano – la vampa che arde – il fondo spesso cupo, nero, ma anche tinte tenere che gareggiano con celestiali evocazioni. E nell’insieme la lancinante coscienza della luce che incide il buio e lo redime. Non esangui astrazioni, ma l’urto perenne delle tinte che confliggono e nello spesso tempo sposano il loro conflitto nella fiducia di una materia che è sempre viva e vitale. Nell’urto che l’attraversa”.

Una personale di Stefano Allisiardi “In Levare”  è in corso a Villa Belvedere Radicati di Saluzzo, in via San Bernardino 17. Curata da Silvana Peira, della galleria Il Fondaco di Bra, la mostra sarà visitabile fino al 24 agosto la domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19.

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