Ono Emiliani è nato a Torino nel 1964. Vive e lavora a San Damiano Macra. Tra sue esposizioni personali allestite in Italia e all’estero, si segnalano, in particolare, Pezzi-Schede, organizzata all’Art Gallery La Luna di Borgo San Dalmazzo tra gennaio e febbraio 2010 e quella intitolata Vocabolaria, allestita nella Galleria Studio7 di Rieti tra giugno e luglio 2011, curata di Luca Arnaudo e Barbara Pavan. Tra le principali mostre collettive, sono da ricordare Una squisita indifferenza. Dialoghi con Alberto Burri, tenutasi nel dicembre 2010 presso il Castello Angioino di Mola di Bari, dove le pitture di Emiliani, insieme a quelle di altri quattro artisti, sono state presentate in parallelo a una serie di opere di Alberto Burri, curata da Luca Arnaudo e Roberto Lacarbonara; Artisti di Confine, curata dall’Associazione Artaria e allestita in Palazzo Samone a Cuneo nel luglio 2011; Nel giardino di Roberto, presentata negli spazi della Fondazione Peano di Cuneo tra maggio e giugno 2012 e curata da Alessandro Abrate per ricordare i cinque anni dalla scomparsa del fondatore Roberto Peano; Ono Emiliani/Derek White – Auspici, del settembre 2012, inserita nell’Orto Capovolto dell’Istituto Tecnico Agrario Statale Giuseppe Garibaldi di Roma, a cura di Luca Arnaudo e Andrea Caggese, in cui l’artista piemontese ha presentato una selezione di tecniche miste tratte da un suo progetto in corso, Flow, dedicato allo sviluppo delle forme organiche a partire da osservazioni nella natura. Ono è soprattutto ideatore di una linea pittorica individuale, che ha riscontri molteplici nel corso della storia delle arti visive, dalle prime raffigurazioni rupestri alla ricerca grafica di Henri Michaux, tanto cara all’artista, e che tenta di proporsi come un linguaggio di segni e di forme di valore universale. La sua attenzione è tutta rivolta ai materiali che utilizza (le resine acriliche, che creano spessori traslucidi), alla musica, che determina l’intero ritmo delle sue opere, alla luce, che gioca un ruolo importante, all’equilibrio delle forme e dei segni che si ripetono, costanti e metodici, come in un mantra per gli occhi. Così i suoi dipinti diventano stuoie, tappeti da meditazione, ma anche stracci dalla trama di un tessuto, dove tutto è libertà di visione e interazione con lo spazio.
“Un severo esercizio di personalissima scrittura pittorica che, dall’inizio del millennio, lo spinge a creare immagini in continua metamorfosi, in intenso movimento ma all’interno, si direbbe, della coscienza di una fatale immobilità del Tutto. Non di contraddizione si tratta bensì di assoluta consapevolezza dell’esistere e del limite che ne consegue. C’è del freddo nelle composizioni di Ono, o almeno questa sensazione sembra prevalere su altri aspetti del suo operare. Un mare di ghiaccio è passato su queste singolari icone, in particolare su quelle di più grande dimensione, e vi ha lasciato tracce di divoramento limpide come cristalli. È pittura quella di Ono, che avanza e consuma, erosione geologica, ciò che resta al termine di un’era. Vi si avverte l’inorganico. Regno animale e regno vegetale paiono assenti ma chi veramente manca è l’uomo, l’uomo consiste nel suo mancare… In questo deserto noto, familiare, si pone, quasi misticamente, l’autore, profeta di quel Nulla di che siamo e che, sempre per pochi tra noi, significa il punto di arrivo, pacificato e pacificante, dell’intelleggibile. Supporti, materie e colori stanno al di fuori di ogni conformità estetica, rivelando piuttosto la loro natura di pagina o lastra in cui i segni scritti-incisi eccedono ogni possibile parola o trascrizione. È storia di cicatrici, di ferite millenarie dalle colorazioni gelide o rugginose, stagliate in un vuoto finalmente raggiunto” scrive di lui Ida Isoardi.
Per Luca Arnaudo: “Emiliani si diverte in effetti a comporre una preghiera di plastica, un’immagine adatta a un occidente che di questo gioco percepisce soltanto la stabile e dispersiva frenesia. Pure, l’intento dell’artista non è dissacratorio ma piuttosto riflessivo, risolvendosi in una misurata considerazione congiunta di forme ed espressioni culturali diverse a cui l’osservatore, con austera leggerezza, viene chiamato a partecipare nella ricerca di una possibile sintesi. Il gioco ricombinatorio che coinvolge i segni tracciati in superficie fino ad attraversare e ricollegare i singoli componenti”.