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Lunedì 23 dicembre 2024

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Un’ecologia delle relazioni per riscoprire la natura

“La via selvatica”: nella complessa rete di relazioni tra umano e non umano si cela il futuro

La Guida - Un’ecologia delle relazioni per riscoprire la natura

Con buona pace della nostra presunzione “una società non è mai stata fatta di soli esseri umani”. L’assunto che l’autore pone al termine del suo saggio è lapidario, ma anche illuminante sul nostro vivere sulla Terra e sul futuro che si può prospettare.

Intorno al concetto di incolto ruota l’intera esposizione con una caratterizzazione nettamente positiva. Definire l’incolto come caos o spazio abbandonato tradisce un’impostazione errata determinata da una cultura che pone al centro l’attività dell’uomo. L’incolto sarebbe ciò che sfugge o soltanto viene tralasciato dall’intervento umano. Questa idea ha dei chiari sottintesi economici: è frutto di un pensiero possessivo per cui l’ambiente si struttura in funzione dell’abitante umano.

L’incolto invece, secondo la prospettiva dell’autore, è tutto quel che è non umano: gli animali, le piante, ma anche il terreno, le rocce, l’ossigeno, l’acqua. Non a caso l’autore appropriatamente è attento anche all’espressione linguistica: non usa mai il termine essere vivente. L’incolto infatti è “spazio ad alta densità di vita”, perché la vita stessa si nutre di una complessità di relazioni in cui intervengono elementi disparati il cui intreccio determina l’ambiente.

Come antropologo, l’autore dà una lettura in termini di relazioni tra umani e non umano. La trappola è proprio la cultura, parola che linguisticamente si imparenta con coltivazione, cioè con l’azione dell’uomo, che fisicamente separa lo spazio in terreno coltivato e terreno, appunto, incolto. Parallelamente la storia ha sviluppato l’idea di civiltà come concetto escludente: separa i gruppi umani predominanti con precisi parametri fondati sull’agricoltura stanziale, sulle città, da altri relegati al mondo del selvaggio.

La ricerca antropologica fa invece giustizia di questa interpretazione tendenziosa. I numerosi esempi che vengono dai quattro angoli del mondo dimostrano come la vita dell’uomo si fondi su una fitta rete di relazioni con tutto ciò che è non umano, cioè con l’incolto. La pesca, la raccolta di frutti, l’uso del legname come delle pietre o dell’acqua sanciscono un’interdipendenza tra l’uomo e l’ambiente. Relazione che è bidirezionale non semplicemente di sfruttamento, ma anche di rispetto e salvaguardia, in ultimo di rigenerazione, cioè di promessa di futuro: “anche nella vita incolta o selvatica ci sono progettualità”. La si può pensare addirittura come “incubatore di umanità”.

È necessaria “un’ecologia delle relazioni”, non solo tra gli umani, ma anche con i “non umani”. La cura del paesaggio sconfina nell’”armonia con il lasciar fare alla natura” che significa consapevolezza della ricchezza nascosta in questo ambiente. I lombrichi di Darwin insegnano: sono stati i responsabili del parziale interramento dei monoliti di Stonehenge, ma conducono una silenziosa opera di rinnovamento del terreno.

La prospettiva è di superare l’antropocene, l’era del predominio dell’uomo, a favore della koinocene, vale a dire il riconoscimento della fitta rete di relazioni con l’ambiente. È questa l’alternativa al pessimismo “cosmico” che oggi si è diffuso. L’uomo si riconosce “coltivatore di relazioni” così riscoprendo quella vita che si muove intorno a lui.

La via selvatica

di Adriano Favole

Editrice Laterza

euro 16

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