Proseguono al processo sul crollo del viadotto di Fossano le relazioni dei periti di parte chiamati dalle difese dei dodici imputati accusati di disastro colposo per il crollo, avvenuto il 18 aprile 2017 fortunatamente senza vittime, e con esse si amplia il panorama delle possibili cause che portarono al cedimento di quella parte del ponte, dove i cavi di precompressione inseriti nelle guaine protettive non erano stati iniettati della pasta di cemento, acqua e additivi che avrebbe dovuto proteggerli da agenti esterni. Se per i periti della Procura il problema principale fu proprio che in assenza di questa pasta cementizia, la boiacca, l’acqua si infiltrò attraverso i fori di sfiato fino dentro le guaine corrodendo i cavi fino alla loro rottura, non per tutti i tecnici ascoltati nel corso dell’ultima udienza la causa sarebbe stata riferibile alla boiacca, o per lo meno non come causa principale. Non per il prof. Bernardino Chiaia, chiamato dalla difesa del direttore del cantiere e del capo cantiere della società che costruì il ponte, che ha individuato le tre cause del crollo nella cattiva gestione della acque di piattaforma a seguito dei lavori messi in campo da Anas nel 2006 e che portò all’infiltrazione di acqua nelle guaine, nella imperfetta iniezione di boiacca nelle guaine e nell’assenza di sorveglianza strutturale dell’opera: “Era difficile non accorgersi che ci fosse qualche problema, anzitutto per le ricariche di asfalto fino a 18 centimetri, undici in più per compensare dislivelli che derivavano dal progressivo inclinarsi del ponte e poi l’apertura di una fessura di dieci millimetri nel giunto in corrispondenza della campata crollata”. Secondo il perito era impossibile non vederla, se si fosse fatta un’ispezione. Per quanto riguarda le mansioni dei due imputati, il professore ha riferito che da nessuna parte era scritto che il direttore del cantiere avesse compiti di sorveglianza sulla qualità esecutiva dell’opera, così come le responsabilità del capo cantiere erano sulla contabilità, l’approvvigionamento dei materiali, le tempistiche e la gestione delle emergenze di tipo infortunistico. Anche per l’ingegner Fabio Mosca e il prof. Franco Bellino, chiamati dalla difesa del direttore dei lavori Anas durante la costruzione del ponte, il problema non fu la mancanza della boiacca quanto le opere eseguite sul giunto nei lavori del 2006 che avrebbero inficiato la funzionalità dell’impermeabilizzazione delle guaine in cui si infiltrò l’acqua: “La presenza della boiacca avrebbe solo ritardato il crollo; con l’ingresso dell’acqua nella guaina e il dilavamento della boiacca ci sarebbe stato l’attacco degli agenti esterni sui cavi”. Secondo i periti chiamati dalle difese dell’ingegnere Anas che sovrintendeva i lavori eseguiti nel 2006 e dell’amministratore della Per.car che li eseguì, il problema invece fu proprio la boiacca: “La ditta che ha sostituito i giunti non aveva fatto alcun intervento sulla pavimentazione – ha riferito l’ingegnere Stefania Arangio – e comunque la sicurezza dei cavi non era demandata all’impermeabilizzazione”. Dello stesso parere l’ingegner Walter Salvatore che ha riferito che i dieci millimetri di apertura del giunto erano stati stimati in base a un modello ma che non c’era testimonianza precedente al crollo che lo attestasse, così come non era possibile determinare quando fossero stati tagliati gli sfiati da cui sarebbe iniziata l’infiltrazione d’acqua: “La causa del crollo fu nella non corretta iniezione di boiacca; è fondamentale il mantenimento dell’ambiente basico della boiacca nelle guaine”. L’udienza proseguirà il 23 aprile.