Avevano fermato la Fiat Panda con a bordo due uomini e una donna per un normale controllo di routine, ma a bordo dell’auto che procedeva sulla provinciale tra Centallo e Roata Chiusani, i militari quel pomeriggio del 21 agosto 2020 trovarono all’interno di uno zaino poggiato sul sedile posteriore un pacchetto di cellophane che conteneva tre pistole, due scatole di cartucce con circa 200 proiettili e una fondina. Con l’accusa di porto illegale di armi e ricettazione sono stati rinviati a giudizio M. A. e Y. E., due cugini di origine albanese che proprio in quei giorni stavano svolgendo lavori di giardinaggio presso Villa Chiusano e che alle accuse degli inquirenti si sono difesi sostenendo di aver trovato quel pacco all’interno del parco della villa e di averlo preso senza chiedersi che cosa ci fosse dentro. Le tre pistole (due semiautomatiche Browning e una Beretta 7,65) e i proiettili (138 calibro 7,65 e 43 calibro 22) sono stati spediti ai Ris di Parma per le analisi insieme a una carabina ad aria compressa trovata a casa di uno dei due indagati: “Le pistole erano funzionanti – ha riferito in aula il maresciallo che aveva eseguito i controlli – e non risultava fossero state utilizzate in fatti delittuosi. Una delle due Browning aveva la matricola abrasa”. Da ulteriori controlli era poi risultato che la Beretta faceva parte di un lotto venduto al ministero di Grazia e giustizia. “Quel pomeriggio quando abbiamo fermato l’auto – ha riferito alla giudice il Carabiniere di pattuglia – M. A. era alla guida e Y. E. era sul sedile posteriore; quando abbiamo proceduto al controllo avevano un comportamento anomalo. Nello zaino di Y. E. abbiamo trovato il pacco con le armi; l’involucro che le conteneva era parzialmente aperto e sbucava il calcio di una pistola. Successivamente a casa di M. A. abbiamo trovato la carabina ad aria compressa”. In aula i due uomini si sono giustificati dicendo di non avere idea di cosa ci fosse in quel pacco: “L’ho trovato per terra nella villa dove da due settimane lavoravamo come giardinieri – ha detto Y. E. – mentre lo avevo in mano avevo ricevuto una telefonata e l’ho poggiato sul tavolo dove c’erano altri attrezzi. Poi quando abbiamo finito il lavoro l’ho preso insieme a tutto il resto. Non ero consapevole di che cosa ci fosse dentro. L’involucro era piccolo e chiuso con più giri di plastica e adesivo marrone. Non si vedeva il contenuto”. L’udienza è stata rinviata al 3 maggio per la conclusione dell’istruttoria.