L’indagine sulle condizioni di vita all’interno del Cas di Racconigi, gestito dalla cooperativa Liberi Tutti, aveva preso spunto nella primavera 2020 dalle proteste messe in atto dai richiedenti asilo per le condizioni di vitto e alloggio; le forze dell’ordine erano intervenute per riportare la calma all’interno dell’ex albergo Carlo Alberto dove aveva sede il centro di accoglienza ma dai racconti degli ospiti della struttura era emerso un quadro di sfruttamento del lavoro che aveva portato ad approfondire l’indagine presso le aziende agricole dove i ragazzi erano impiegati.
Dalle carte risultò che uno dei datori di lavoro, titolare di un’azienda agricola di Costigliole Saluzzo, pagava i lavoratori con compensi in busta paga inferiori al numero di ore effettivamente lavorate, fornendo il resto del compenso in nero. Rinviato a giudizio, l’uomo ha patteggiato la pena previo pagamento di tutti i contributi evasi. Molto più nebulosa invece la parte d’indagine che ha condotto al rinvio a giudizio di M. M., responsabile della struttura di Racconigi dal 2017 al 2019. All’uomo è stato contestato il reato di sfruttamento del lavoro perché dalle testimonianze raccolte dagli inquirenti risultava che si sarebbe intascato i 5 euro che i lavoratori pagavano ogni giorno per andare e tornare dal lavoro, prima con i mezzi del Centro di accoglienza e poi con pullman messi a disposizione dalle aziende agricole, costringendoli anche a lavorare per le aziende da lui indicate, pena l’estromissione dal Centro di accoglienza.
Testimonianze raccolte dagli inquirenti che avevano ascoltato i migranti senza l’ausilio di un interprete e che sono state quasi completamente sconfessate in aula quando gli stessi lavoratori sono stati chiamati a deporre alla presenza di una traduttrice. Davanti al giudice infatti i testimoni hanno riferito che i soldi del trasporto li sottraeva dalla busta paga il datore di lavoro e nessuno di loro aveva mai visto M. M. prendere quei soldi. Una versione dei fatti che risulta più comprensibile con quanto dichiarato dal responsabile della cooperativa Liberi Tutti, il quale aveva dichiarato in aula che per i centri con molti migranti (il loro ne ospitava 45) era normale dotarsi di un mezzo di trasporto autonomo per accompagnare gli ospiti nell’espletamento delle pratiche sanitarie e burocratiche. Quello stesso pulmino non era però autorizzato all’accompagnamento sul luogo di lavoro e per questo ai ragazzi veniva chiesto un rimborso spese che però, in assenza di una codificazione chiara nella contabilità della cooperativa, venne successivamente sospeso; furono a quel punto le aziende a occuparsi del trasporto dei lavoratori sottraendo dalla busta paga il rimborso mensile per il trasporto.
In aula i migranti hanno anche negato di essere stati costretti a lavorare per le aziende indicate dall’imputato; una condizione di libertà che alcuni ospiti avevano confermato davanti alla Commissione territoriale, chiamata a decidere sulle richieste di protezione internazionale, dove erano stati ascoltati alla presenza di un traduttore ufficiale proveniente dagli stessi Paesi d’origine dei migranti. Il processo proseguirà il 13 maggio con altri testimoni.