Ceva – È ormai nota come la truffa al contrario, fatta cioè ai danni di chi vuole vendere un oggetto tramite siti on line, e consiste nel contattare il venditore fingendosi interessato all’acquisto; al momento delle trattative, con la scusa di essere impossibilitati a effettuare il bonifico e prospettando al venditore la possibilità di incassare i soldi molto più velocemente, lo si invia presso uno sportello bancomat e gli si chiede di digitare una serie di numeri per ottenere l’accredito sulla propria carta ricaricabile. Inesorabilmente nel corso di questa operazione accade sempre qualche contrattempo che porta a doverla ripetere più volte: a ogni ripetizione però corrisponde un versamento che il venditore ignaro sta facendo sulla carta del truffatore. Quando l’operazione si conclude ci si ritrova ad aver sborsato il doppio, il triplo, o addirittura il quadruplo di quanto si sarebbe dovuto incassare. A incappare nella truffa al contrario sono stati questa volta padre e figlio di Ceva che dovevano vendere una sega circolare e si sono ritrovati derubati di 1.250 euro. A finire a processo per concorso in truffa A. H., nato in Germania e residente a Padova, ed E. G., di Brescia. Il primo era l’intestatario dell’utenza telefonica usata per svolgere le trattative (e che si era presentato come Carabiniere), il secondo era l’intestatario della carta Postepay su cui finirono materialmente i soldi della truffa, avvenuta ad aprile 2020. A differenza della maggior parte dei casi però, il truffatore non sparì subito dopo aver incassato i soldi; contattato dal signor B. che si era accorto di aver versato piuttosto che ricevere i soldi e di trovarsi con la carta bloccata, A. H. continuò a rispondere per un giorno intero, chiedendogli di mandargli la fotografia della carta Postepay e dicendo che sua moglie, impiegata alle Poste, sarebbe stata in grado di sbloccarla per consentirgli di ricevere i soldi: “Continuava a dirmi di inviargli la fotografia fronte e retro della mia carta Postepay – ha riferito in aula l’uomo – dicendomi anche che dovevo sbrigarmi, che avevo solo 15 minuti di tempo per farlo altrimenti non mi avrebbe più potuto aiutare. Appena vedeva che avevo letto il messaggio lo cancellava; arrivò addirittura a dirmi che non lo dovevo più chiamare altrimenti mi avrebbe denunciato”. Mostrata in aula la cronologia del proprio cellulare apparivano infatti moltissimi messaggi cancellati dal finto acquirente. Le indagini hanno accertato l’identità dei due uomini ed era anche stato rintracciato su Facebook il signor Riccardo, il cui nome era stato utilizzato per questa e per altre truffe dal momento che in un post lui stesso invitava tutti i propri contatti alla massima cautela poiché il suo profilo era stato hackerato. A conclusione dell’istruttoria l’accusa ha chiesto per i due imputati la condanna a nove mesi di reclusione e 300 euro di multa, mentre le difese si sono appellate alla non certezza della prova circa l’identificazione dei due imputati. Richiesta rigettata dal giudice che ha condannato entrambi gli imputati a nove mesi e 500 euro di multa.