Magliano Alpi – Dopo aver procurato clienti per la ditta di impianti di sicurezza, il cui contratto prevedeva installazione e manutenzione per cinque anni, fingevano interventi di sostituzione dei componenti facendosi pagare somme non dovute e per questo P. G. A. e B. D., due cinquantenni di Torino residenti in provincia di Cuneo, sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di truffa. Le vittime erano tutte persone molto anziane e proprio dalla nipote di una di queste è partita la denuncia che ha condotto alla scoperta di un ammanco di 10.000 euro per interventi non dovuti avvenuti fra il 2019 e il 2020. A seguito del ricovero dello zio in ospedale, la donna aveva notato che la banca aveva rifiutato due assegni scoperti da 1.500 euro che l’anziano aveva depositato; l’uomo spiegò alla nipote che, in aggiunta al suo impianto di allarme, B. D. gli aveva venduto un sistema di videosorveglianza. Lui però ci aveva ripensato e il venditore gli aveva restituito i soldi con i due assegni risultati però scoperti. A casa dello zio la donna trovò in una cartellina le fatture della ditta di impianti di sicurezza che la insospettirono e la indussero a rivolgersi alla Polizia. Grazie alle indagini della Squadra Mobile emerse che le fatture erano state emesse su carta intestata della ditta Psp Security, ma con una numerazione non corrispondente a quella della ditta. Oltre al signore di Magliano Alpi c’erano state altre vittime dei due procacciatori della ditta di impianti di sicurezza; a un cliente di Borgo San Dalmazzo vennero sottratti 4.500 euro, ma ben più grave fu l’ammanco di 80.000 euro ai danni di una signora di Caraglio, sottratti per interventi inesistenti in quasi dieci anni. “Una volta l’anno veniva l’addetto a cambiare le batterie – aveva riferito in aula il cliente di Borgo San Dalmazzo – poi veniva anche B. D., diceva di essere mandato dalla ditta. Cambiava pezzi e voleva essere pagato in contanti. In banca a prelevare mi accompagnava P. G. A. in auto. Sapevo che il contratto includeva anche la manutenzione ma pagavo lo stesso, non so perché. A un certo punto mi son detto che qualcosa non andava e non ho pagato i 1.500 euro che mi chiedevano. Venne il signor P. G. A. che mi chiese di dargli la metà della somma, ma io non pagai. Mi avevano dato una fattura e l’avvocato a cui la mostrai mi disse che era falsa”.
In aula ha anche deposto il titolare della ditta impianti di sicurezza con sede a Cardè, il quale ha riferito di aver subito sospeso la collaborazione con B. D. non appena saputo dalla Polizia dell’indagine in corso. L’uomo ha riferito che i due imputati si occupavano di vendita e rinnovo contratti mentre della manutenzione si occupava un altro impiegato. L’uomo ebbe modo di visionare le fatture che la Polizia aveva trovato a casa di B. D. e gli sembrarono strane, anche perché non era suo compito emettere fatture per interventi di manutenzione, come assolutamente ingiustificati risultarono gli esborsi per 80.000 euro della cliente di Caraglio: “L’impianto completo costa 5.000 euro, quella cifra non è giustificabile”. L’udienza è stata rinviata al 10 ottobre.