Murazzano – Si è concluso con l’assoluzione il processo a carico di T. F., Z. Y. e C. A., rispettivamente direttore, legale rappresentante e veterinario del Parco Safari di Murazzano, accusati di falsità nei registri e falsità ideologica per aver falsificato i registri relativi alla morte di un dromedario che risultava essere stato trasferito in un parco di Sondrio, mentre invece era stato sotterrato in un’area del parco dopo la morte. I fatti risalgono all’ottobre 2020 quando, in seguito a un controllo di routine al Parco, le autorità notarono discrepanze fra il numero di animali presenti e quelli risultanti dai registri. In un’area del parco notarono terra movimentata di recente: dopo averla fatta scavare emersero le carcasse di alcuni animali, tra cui quella di un dromedario che risultava essere stato trasferito ad agosto in un parco di Sondrio. Al tenente della Finanza che stava svolgendo l’indagine, il direttore del Parco riferì da subito che quell’animale era effettivamente destinato a un altro parco e che la bolla di trasferimento era stata preparata prima che l’animale morisse; a quel punto poi la concomitanza di un problema alle celle frigorifere e le lentezze nelle procedure di smaltimento a causa del Covid indussero la direzione a seppellire l’animale morto. Un fatto isolato giudicato di lieve entità dalla giudice che, in un processo separato, aveva assolto il direttore del parco per quell’interramento illegale. Restava in piedi l’accusa di falsità nelle dichiarazioni dei responsabili del Parco e del veterinario relativamente ai tempi della morte e dell’interramento della carcassa dell’animale. Un’accusa ritenuta provata nel corso dell’istruttoria e per la quale il pubblico ministero aveva chiesto la condanna per T. F. a otto mesi di reclusione, per C. A. a cinque mesi e per Z. Y. a 10.000 euro di ammenda. Per le difese però quell’unico episodio di interramento, fatto in una zona sicura del parco e proprio per evitare rischi sanitari, aveva assunto contorni smisurati a dispetto della lieve entità già giudicata nell’altro processo. Per quanto riguardava poi la responsabilità del veterinario, dall’istruttoria è emerso che non competeva ai privati professionisti redigere certificati di morte e che quelli presi in considerazione dall’accusa erano in realtà documenti a uso interno dello studio veterinario, utili per l’archivio come tracciamento degli animali. Ricostruzioni accolte dal giudice che ha assolto i tre imputati da tutte le accuse.