Cuneo – Incontro molto coinvolgente oggi giovedì 25 maggio al Bonelli di Cuneo sulle dittature militari nell’America Latina e i desaparecidos: a raccontare il dramma della dittatura di Videla in Argentina e di Pinochet in Cile sono stati gli argentini Cecilia Diaz e Oscar Gauna, Graziella Alciati (per il marito Josè Louis Bonatto) e il cileno Juan Carlos Gutierrez.
I relatori hanno rievocato con dolore quegli anni di sofferenze e di paure e hanno spiegato ai ragazzi quanto sia importante difendere i diritti naturali di ogni uomo, in particolare quello della libertà, non ancora scontata in qualche nazione.
Graziella Alciati ha raccontato l’esperienza di suo marito (non presente perché in ospedale), che è stato un desaparecido argentino e che si è salvato perché “scambiato” con altri giovani con una turbina italiana. Lui porta sul corpo e nel cuore i segni delle torture, delle offese, delle violenze: a 44 anni ha preso un ictus, probabilmente causato dalle centinaia di bastonate ricevute in quegli anni di detenzione all’Esma di Buenos Aires. Anche le gambe hanno risentito delle torture subite: ora lo reggono a stento, ma il suo spirito è ancora forte, combattivo come quello di allora. Sono questo spirito e questa fiducia nella pace e nella libertà che gli hanno permesso di resistere per tanto tempo alle torture e di salvarsi: Graziella, ricordando il suo pensiero, ha ricordato ai ragazzi quanto importante sia ieri come oggi l’amore per gli ideali e la capacità di perdonare, perché il male non va lontano: molti torturatori, ha raccontato, negli anni sono stati travolti dai rimorsi e dai fantasmi delle loro violenze.
Cecilia Diaz e Oscar Gauna erano dei bambini quando venne instaurato il regime militare a Buenos Aires, ma hanno assistito ugualmente al dramma della dittatura: la casa venne loro perquisita e messa a soqquadro ben due volte dai militari e sempre nel cuore della notte; uno zio e una zia, giovani studenti universitari a quei tempi, vennero “prelevati” da casa con la tristemente famosa “falcon verde” e portati nelle carceri clandestine, dove furono torturati, picchiati, insultati per aver scritto sui muri “abbasso la dittatura” o “Viva Peron”.
Entrambi sono sopravvissuti alle violenze, ma per aver manifestato le proprie idee con l’entusiasmo tipico ed innocente dei giovani hanno trascorso tanti in carcere.
“Le prime azioni che hanno fatti i militari davanti a noi bambini – ha ricordato Cecilia – è stato bruciare i libri nelle piazze perché i libri, la cultura portano all’autonomia dell’uomo e al libero pensiero. Mio papà nascose i nostri libri in un buco nel cortile e ci mise sopra una copertura di cemento perché se lo avessero scoperto sarebbe morto per un’azione simile: ora i nostri testi, la nostra cultura, i nostri sogni sono ancora là, sotto quel pavimento in cemento, pronti a riemergere da un momento all’altro”.
Juan Carlos Gutierrez ha raccontato cos’è successo in Cile sotto la dittatura di Pinochet: lui era un giovane universitario ai tempi del regime e sarebbe sicuramente finito allo stadio di Santiago del Cile se sua madre non gli avesse impedito di uscire la mattina della manifestazione studentesca e non l’avesse chiuso in casa. Tutti i compagni di scuola, infatti, che avevano partecipato alla dimostrazione, finirono allo stadio e molti di loro morirono nelle carceri clandestine.
Gutierrez ha ricordato anche il clima di tremenda tensione in cui i giovani vivevano, il coprifuoco e il terrore di uscire, la paura sotto il regime militare di parlare e di esprimersi. Queste paure, dopo il suo trasferimento in Italia, gli sono rimaste per parecchio tempo perché il trauma che la violenza della dittatura lascia nei giovani e in chi la subisce resta per sempre. Per questo Gutierrez ha fatto riflettere i ragazzi sull’importanza che aprano gli occhi e credano nella solidarietà e nella democrazia.
“Grazie di cuore agli intervenuti perché senza la loro testimonianza diretta il discorso sulle dittature militari sarebbe stato “da manuale”, ma non avrebbe trasmesso la negatività e l’orrore che contengono. È grazie alla collaborazione con le persone che sono disponibili a testimoniare che si fa la storia, quella vera, quella di chi l’ha vista e vissuta”, ha sottolineato la professoressa Elena Giuliano, referente del progetto.