Dovremmo tutti averlo capito in questi anni di grande impegno etico e politico del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: nella sua funzione di garante della Costituzione e di rappresentante dell’unità nazionale non ha mai mancato di richiamare al rispetto dell’art. 11 del dettato costituzionale che “consente (all’Italia), in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”.
Adottata nel 1947 la Costituzione, frutto anche alle riflessioni dei nostri Luigi Einaudi e Duccio Galimberti, avrebbe preparato l’Italia ad essere protagonista nelle organizzazioni internazionali in cantiere negli anni seguenti, in particolare sul nostro continente con la creazione del Consiglio d’Europa nel 1949 e della prima Comunità europea del carbone e dell’acciaio nel 1951, aprendo la strada a quella che con gli anni sarebbe diventata l’Unione Europea, oggi una comunità di 27 Stati membri.
Nel corso della sua presidenza Sergio Mattarella ha costantemente richiamato, qualunque fosse il governo in esercizio, l’importanza per l’Italia di partecipare attivamente al processo di integrazione europea, condannando ripetutamente le derive nazionaliste che ne minacciavano lo sviluppo e, insieme, mettevano a rischio la pace, come avvenuto tragicamente nel secolo scorso.
Molto numerosi e incisivi gli interventi del Presidente a proposito dell’Europa, sia per stimolare la crescita del processo di integrazione sia per richiamare l’Italia e i suoi governanti a rispettare i Trattati, anche quando poteva questo richiamo irritare qualcuno.
Tra i più recenti appelli del Presidente, il suo intervento sul “Futuro dell’Europa in occasione del 30° anniversario del Trattato di Maastricht nel novembre 2022 riassume con grande lucidità e coraggio quanto realizzato dall’Unione, senza però tralasciare l’amarezza per le molte occasioni mancate, dall’affondamento della Comunità europea della difesa nel 1954 e del Progetto di Costituzione europea nel 2005 fino alla secessione britannica conclusasi nel 2020. Un testo tutto da leggere e dal quale estraiamo solo uno dei passaggi che interroga le giovani generazioni alle quali quel discorso era rivolto. Sono domande incalzanti, le risposte si intravvedono, ma libero ciascuno di noi di dare la sua.
“Abbiamo il dovere di domandarci se siamo stati all’altezza delle prove che l’Unione Europea ha incontrato nel suo cammino. In che cosa abbiamo sbagliato? Siamo stati poco disponibili, avari nell’impegno? Abbiamo osato troppo poco? Rischiamo di andare indietro, di ridimensionare le nostre ambizioni ben oltre quello che la crescita di altre aree sta naturalmente determinando? Ancora, cosa vogliamo fare di noi stessi, di noi europei? Quali traguardi ci suggerisce la civiltà di cui siamo orgogliosi portatori e testimoni?”.
Interrogativi che ricordano quelli pronunciati da papa Francesco nel 2016: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa, terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati?”.
In entrambi i casi parole che provengono da due cattedre diverse e esemplari ma che si incontrano nella saggezza e nel coraggio, due virtù di cui Italia ed Europa hanno un grande bisogno.