Una lettera s’aggira per l’Europa: porta la firma gentile di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ma il tono inquieta e le ambiguità non mancano.
Il prossimo 9-10 febbraio si terrà un Consiglio europeo straordinario dei Capi di Stato e di governo dei Ventisette e tra i punti prioritari all’ordine del giorno vi è quello delle politiche migratorie. Si tratta di un tema che nell’Unione Europea si trascina da anni mentre i flussi migratori aumentano, le politiche di accoglienza non danno risposte adeguate e aumentano le vittime tanto sulla rotta mediterranea che su quella balcanica.
Senza andare troppo indietro nei decenni alla ricerca di strategie comunitarie, indebolite da una base giuridica insufficiente nei Trattati e contrastate dagli egoismi nazionali, prendiamo per buono il “Patto europeo migrazione e asilo” del 23 settembre 2020. Il Patto conteneva proposte che avevano per oggetto i controlli alle frontiere esterne dell’UE, le procedure di asilo e di rimpatrio, i meccanismi di risposta in caso di flussi migratori eccezionali irregolari, nuovi sistemi di solidarietà nei confronti degli Stati membri maggiormente esposti e il rafforzamento delle relazioni esterne con i principali Paesi terzi di origine e di transito.
Ad oltre due anni di distanza da quel documento programmatico poco si è fatto e molto rinviato, mentre si avvicina l’ultima scadenza politica da non superare: quella della primavera del 2024, quando si terranno le prossime elezioni per il Parlamento europeo. Con un problema in più: l’ostilità dell’attuale presidenza di turno svedese dell’UE ad accelerare con i lavori, lasciando alle successive presidenze semestrali di Spagna e Belgio il compito di approdare ad un accordo, prima che nella seconda metà del 2024 incomba la presidenza ungherese.
Tutto questo avviene mentre gli ingressi irregolari nell’UE sono aumentate del 64% rispetto all’anno precedente, con 330mila migranti, e mentre ai Paesi UE sono arrivate, nel 2022, 924mila domande di asilo (in prevalenza di persone entrate legalmente), il 50% per cento in più rispetto all’anno precedente, con una particolare pressione percentuale rispetto alla popolazione su Cipro, Austria, seguiti da Grecia, Lussemburgo, Slovenia e Belgio, mentre i Paesi con i più alti numero in assoluto per le richieste sono stati Germania, Francia e Spagna.
In questo contesto la lettera della presidente della Commissione europea si propone di riportare sul tavolo dei governi UE le proposte del 2020, con alcune novità non banali, declinate in chiave di maggiore severità da parte dell’UE.
Tra queste ha particolarmente colpito la proposta della Commissione di “mobilitare fondi UE per aiutare gli Stati membri a rafforzare le infrastrutture per il controllo delle frontiere”: una frase che ha immediatamente fatto pensare a nuove costruzioni di muri alle frontiere esterne, come se già non ce ne fossero abbastanza. Sono infatti già oltre mille i chilometri di barriere fisiche ai confini dell’UE, con la Bulgaria che ha in cantiere 176 chilometri di recinzione di filo spinato lungo il confine con la Turchia, con il sostegno anche dell’Austria che ha proposto di realizzare questa barriera con i fondi comunitari.
La Commissione è corsa ai ripari, chiarendo che non dispone per questo delle risorse necessarie, ma anche lasciando capire che non si opporrà all’uso dei fondi nazionali a questo scopo.
La lettera contiene molte altre proposte, dai ricollocamenti ai movimenti secondari dei migranti, una volta entrati nello “spazio Scenghen” dell’UE, fino alla necessità di concentrarsi sulla revisione del Regolamento di Dublino, che continua ad essere rinviata.
Tanta roba con poco tempo a disposizione, dopo il tanto tempo perso quando la congiuntura politica era migliore dell’attuale.