Lidia Poët a metà Ottocento rifiuta, come donna, la posizione di subalternità cui i pregiudizi maschili la confinano e con caparbietà afferma il suo diritto a intraprendere la carriera di avvocato. Ha davanti un mondo, anche colto, che considera “il retaggio della donna non la scienza, ma l’amore, e la sua educazione doveva badare più al cuore che ad altro”.
La famiglia borghese e facoltosa della Val Germanasca educa i figli con severità e rigore morale. Figuriamoci quando tredicenne si impunta per studiare: “faccia la calza e, se proprio ha tanta fame di scienza, che pigli il diploma da maestra”. Lei il diploma lo prende a Mondovì, ma non le basta perché nel 1878 si iscrive e si laurea in Giurisprudenza, manco a dirlo con una tesi sulla condizione della donna nella società: la prima donna avvocato d’Italia.
Viene iscritta, non senza polemiche, all’Albo degli Avvocati di Torino, ma Il Procuratore Generale ricorre presso la corte d’Appello poiché “a tenore di legge” titolo ed esercizio dell’avvocatura non possono essere assunti da donne. La Poët risponde per le rime ricorrendo in Cassazione, ma ottenendo solo un generico auspicio all’allargamento dei diritti delle donne oltre ad aprire un dibattito parlamentare che comunque non variò la situazione.
L’autrice ricostruisce la vicenda di Lidia Poët, ma soprattutto coglie l’occasione per dedicare un buon numero di pagine alla riflessione non solo sul lavoro femminile, in special modo nella giustizia, ma anche per guardare alla realtà forense di fine XIX secolo con la sua evoluzione nel successivo. Ogni argomento intreccia direttamente la riflessione sulla condizione della donna riportando i recenti sviluppi della discussione.
Lidia Poet. Una donna moderna
di Clara Bounous
Lar
16 euro