A suggello dell’anno dantesco cuneese si segnala una singolare iniziativa editoriale: la traduzione in lingua occitana dell’Inferno realizzata da Valter Giordano. I 4720 endecasillabi hanno impegnato lo studioso per quattro anni. Poi c’è stato un minuzioso lavoro di revisione della grafia e delle particolarità fonetiche usate dal traduttore. Ora è pubblicata con il testo originale a fronte.
Per comprendere il senso di questa operazione certamente originale è utile soffermarsi sulle due pagine di presentazione scritte dallo stesso Giordano. Qui se ne chiariscono le motivazioni. Qui si ritrova, prima ancora del traduttore, anzitutto la persona che ha condotto questa “impresa”.
All’origine, dice, c’è una fase “invernale” della sua vita, che quasi sembrerebbe avvicinarlo allo smarrimento di Dante nella selva oscura. Per lui, confessa, il sentiero che conduce alla luce è stato tracciato dall’amore per Dante e per la propria lingua “naturale, quella che non si impara a scuola, ma dalle labbra di chi ci dà i primi bacetti e ci insegna a “nominare” il mondo, a rendercelo noto”.
Scaturisce così nelle pagine di questa traduzione quasi un confronto linguistico che non prevede già in partenza vincitori né vinti. L’accostarsi alla lingua del poeta come il ritrovare la ricchezza della lingua natale, per altro mai abbandonata, è sorretto dalla medesima passione, da un’ammirazione per ciò che una lingua può fare nel processo di appropriazione del mondo. Non importa se questa lingua è riconosciuta colta o ingiustamente relegata nel piccolo ambito geografico.
Così la lingua di Dante parla ancora oggi, come quella del suo traduttore che sopravvive nella frazione di Podio Sottano di Vinadio all’imbocco del Vallone di Neraissa (l’introduzione di Andrea Celauro che ne ha curato la grafia, chiarisce le differenze fonetiche rispetto ad altri luoghi della galassia occitana). Ambedue le lingue nascono infatti da una vita intensamente e concretamente vissuta. Ne sono testimonianza i ripetuti rimandi a oggetti del quotidiano lavoro che hanno posto anche difficoltà nella traduzione: il mondo di Dante fa riferimento a una società e un’economia molto diversa da quella della montagna vinadiese. Il patrimonio linguistico che lo esprime è lontano da quello del Podio Sottano. Come tradurre, per esempio, i ripetuti rimandi al lessico marinaro in una valle di montagna? È l’accortezza del traduttore ad appianare gli ostacoli: non ricorrendo a inopportuni neologismi, ma ricorrendo a similitudini o scavando nel relativo campo semantico. Un lavoro che recupera il “lessico della memoria” e insieme getta ponti tra i due mondi.
“Lou viage” è il semplice titolo scelto. Valter Giordano non nasconde che la sua traduzione è infatti anche un viaggio nella memoria personale “dei tempi grami”, ma pure collettiva della propria lingua e di tutto il complesso di tradizioni che vi sono connesse. Suona perciò amara la consapevolezza di maneggiare una lingua “che sta morendo e non solo perché non si adoperano più determinati utensili o strumenti (…).Sono rari infatti coloro che pensano e parlano in patois”.
Lou viage
Traduzione dell’Inferno dantesco a cura di Valter Giordano
Primalpe
19 euro