Giovanni Mattio è un cuneese, nato nel 1949, trapiantato a Milano, dove vive e lavora dal 1989. Si laurea in Lettere Classiche a Torino nel 1973, per continuare con studi, ricerche e sperimentazione di tecniche nell’ambito delle arti figurative in Francia, specie con la vicina Provenza e in particolare con Nizza, Antibes, Aix en Provence. Espone in collettive in ambito regionale e transalpino dal 1975 e in personali in Italia e Francia dal 1986. Dopo il trasferimento nella metropoli lombarda avvia diversi cicli pittorici: “telafracta”, dipinti di grandi dimensioni ridotti in frammenti destinati ognuno a una propria storia nel 1992; e nel 1993 gli “ilocromi”, dipinti in cui la materia assume una funzione primaria sul piano cromatico, espressivo e culturale; e gli “aquaveli”, dipinti ottenuti con colori ad acqua e veline che danno palpabilità ad una superficie trasparente; sino alle ceramiche polimateriche “zostracon” e a varie incursioni nel campo dell’incisione. Con il nuovo millennio la ricerca si estende ai volumi e alle forme delle superfici dipinte in una ricerca, via via, più plastica: nascono le estroflessioni, le introflessioni, i monitor, le losanghe, i petali, i puzzle, le sculture per addizione, le installazioni.
“Nel lungo e nutrito itinerario artistico di Giovanni Mattio – scrive Anna Giemme – , Eros è sempre presente (nei cromatismi accesi, nella densità e tattilità della materia dei dipinti più informali, nella rappresentazione della natura, nella imponenza dei volti), mentre Afrodite compare puntualmente in ogni ciclo senza costituire il soggetto dominante e soprattutto senza mai disvelarsi e rivelarsi completamente come figura, bensì come presenza femminile”.
“In Mattio, – sottolinea Antonio D’Amico – la pittura è il gesto tangibile del fare memoria non di un paesaggio o di un antro naturalistico, bensì di quel bello ideale e supremo che regna nel cosmo, desiderio e anelito per poter scrutare oltre il visibile, compenetrando quinte sceniche oggettive solo con gli impulsi di un inconscio che emerge e trova spazio fisico per poi scoprire che la tela trasuda di una vitalità sensoriale incontrovertibile e bastante solo a sé stessa”.
Mattio vanta un curriculum imponente di mostre collettive e personali in gallerie e spazi pubblici soprattutto a Milano e in Lombardi tra cui la Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea (Milano, 1987, 1989); XXXII Biennale Nazionale d’Arte Città di Milano (Palazzo della Permanente, Milano, 1994), VII Triennale dell’incisione (Museo della Permanente, Milano,1994); “Salone Milano” (Museo della Permanente, Milano, 2004); “Dipingere l’immenso” (Archivi del ‘900, Milano, 2008); “Una Via Crucis” (Museo della Permanente, Milano, 2008); “Materia” (It’s my gallery, Milano, 2009); “Small Art”(Studio Iroko, Milano, 2009); “Tracce della materia” (Galleria Zamenhof, Milano, 2010); “Watching Tower” (Chiostri dell’Umanitaria, Milano, 2010); “Permanente 2010” (Palazzo della Permanente, Milano, 2010); “Elephant parade” (Milano, 2011); ma anche a Berlino (Milano-Berlino/ Metropoli a confronto – Galerie Verein, 1988), Nizza (Art Jonction, 1989), Bologna, Bari. Ha suscitato vivo interesse anche un suo ritorno al Palazzo di Città di Mondovì nel 2009.
“Come in tutta la pittura che parte da un approccio informale, – spiega Luca Pietro Nicoletti – anche se ricondotto nell’alveo della figurazione, la ricerca di Mattio si muove ai confini della rappresentazione, ricercando una pittura in cui il vero protagonista è lo stesso materiale di cui è costituita la pittura, dando vita a un’immagine che si presta a una visione lenticolare, che apprezza il dettaglio e la qualità astratta del pigmento e degli altri elementi. Non sono luoghi reali, ma luoghi della memoria, o, meglio, delle emozioni, quelli che muovono la mano dell’artista, ne trascinano mente e sentimenti alla ricerca di una bellezza in cui perdersi… Qua e là ribollono gorghi, compaiono spazi siderali, la terra si intuisce lontana. Il linguaggio puro della pittura, a cui l’artista si affida e di cui indaga le valenze emozionali, non impedisce all’occhio di percepire le forme mutevoli di una natura guardata con la lente di ingrandimento, penetrata nella sua sostanza”.