È una breve fiaba quella che racconta Valentina Biarese inseguendo pensieri e immagini della piccola Zoe che con ingenuità si impegna a presentare la sua zia.
La caratteristica di questo narrare che si impone è proprio lo stile scelto per dar voce alla bambina. Nel costruire il ritratto di sua zia, Zoe procede infatti talvolta per contrapposizioni drastiche senza possibilità di mediazione. Se lei ha i capelli ricci, la zia li ha più lisci. Se calza i leggins con stelline, la zia li ha senza stelline. Zoe va a scuola a piedi col nonno e mangia gli spinaci, la zia ci va da sola, in auto e non le piacciono gli spinaci (ma dove li nasconderà se non ha più le tasche del grembiulino?). La bimba si mette le dita nel naso, la zia no “o forse lo fa di nascosto”.
È la registrazione immediata dell’incontro dell’immaginario infantile con il mondo adulto che peraltro non disdegna affatto di sottolineare anche una comunione di situazioni che è poi un altro modo di rilevare l’affettuoso legame che unisce Zoe e zia. Ambedue mangiano in refettorio, portano scarpe con i tacchi (per la verità una non è capace a camminarci e all’altra scappano “un po’ dai piedi, ma solo un po’”), si mettono i “brillini” per partecipare alle feste. È una complicità che si esprime nel giocare alle turiste a Barcellona, nel saltellare per strada come canguri.
La fiaba appare così un leggero racconto ingenuo agli occhi degli adulti, molto serio nelle parole della piccola. Sembra inventato da una bambina per parlare dei grandi, magari per sorridere delle loro paure dai volti conosciuti di cani o zanzare.
Il tutto è colorato dai disegni di Sara Giraudo che talora si condensano in silhouettes come vivaci ombre cinesi altre volte si allargano a tutta pagina riempiendo il testo di colore e fantastiche forme tridimensionali.