Se c’è un’unica Storia, ci sono però modi diversi di raccontarla. C’è la possibilità di ricorrere ai documenti per dare ai fatti il loro fondamento. E c’è la strada dei ricordi personali per offrire a quegli stessi fatti il colorito della vita vissuta. Vanna Giraudo sceglie quest’ultimo sentiero per raccontare la vita di suo padre, uomo sempre fermo custode della propria libertà.
Se però il libro si fermasse solo a questo aspetto, sarebbe niente più di un album di famiglia il cui interesse si chiuderebbe su se stesso, nell’ambito, appunto, familiare o poco più. In questo caso però l’autrice va oltre. Nell’omaggiare il padre ricordandone esperienze e parole, riesce a calare tutto in uno spaccato di vita di una famiglia “standard” nella Cuneo della prima metà del Novecento: “vi voglio raccontare – confessa l’autrice – la storia di una famiglia normale, come credo ve ne fossero molte a quel tempo in città”. Pochissime le date, alcune anzi precedute da un “forse”, perché la preoccupazione è rivolta al ritratto di un paesaggio urbano e umano oggi irriconoscibile.
L’affetto che pervade ogni pagina si lascia spesso attraversare da annotazioni realistiche che la vita “comune” riserva alle persone che popolavano Cuneo vecchia, quando ancora non era collocata ai margini del centro urbano, ma costituiva quasi l’intera città. Un agglomerato che appare quasi labirintico con le numerose portine “di traversa” grazie alle quali “ti infilavi in una in Via Boves e attraversando due cortili ne trovavi un’altra che ti faceva uscire in Via Roma”. Un paradiso per i ladruncoli in fuga.
È la fotografia di un quartiere brulicante di persone tra le quali prima Batistin, nonno dell’autrice, poi Santi il padre, svolgono le proprie attività lavorative. Via Boves, per esempio, “voleva dire folclore” con le sue “tampe liriche”, le osterie da cui fuoriuscivano cori di ogni genere.
Le persone che popolano queste pagine per lo più sono identificate con il lavoro svolto. C’è Ercole il calzolaio, abile nel trasformare qualunque oggetto di pelle in scarpe “che erano persino belle”. Nei paraggi di casa Bongioanni in via Boves c’è “Cecu d’la bira” proprietario della Birreria Bagni. Poi il falegname Cesana che assemblava i grandi armadi direttamente in via Alba e all’angolo di via Peveragno si potevano trovare ad asciugare le botti di Cirio negoziante di vini.
Questi “fantasmi” ricchi di umanità, che solo il ricordo fa sopravvivere, si pongono accanto ad altri personaggi più conosciuti come il notaio Bongioanni, fondatore nel dopoguerra della Società cittadini mai iscritti al Partito fascista, o Dado Soria, Ellena, l’avvocato Giacosa. È significativo comunque che l’autrice chiami queste persone solo a far da corollario a tutta la folla anonima che si aggirava nelle strade di Cuneo vecchia.
È il tempo in cui si è salutisti “per spirito di conservazione”. Il cibo spesso è poco e si ingrossa la “Brigata Cirio”, colorito nome del gruppo di persone che, armate di una latta di conserva Cirio, raggiungeva la caserma degli alpini per farsela riempire di minestra. Bisogna “procurarsi l’indispensabile con molta fantasia”, anche ricorrendo al contrabbando, specie in anni di guerra quando la famiglia Giraudo deve trasferirsi a Festiona. Ogni genere di lavoro va bene perché l’orizzonte cui si guarda spesso non va oltre il domani, ma sempre con la dignità di chi “alla famiglia non ha fatto mancare niente”, dove quel “niente” è semplicemente un “non ha patito la fame”.
Storia di un uomo libero – Vita e peripezie di Santi Giraudo
di Vanna Giraudo
Edito in proprio
10 euro