L’esperienza cinquantennale del Brasile segna la vita e le parole di don Giovanni Rocchia. Ne scaturisce un’ampia riflessione che con libertà coinvolge la sua missione e chiama in causa il senso dell’essere cristiani. Difficile trovare nelle pagine una struttura che sistematizzi il pensiero. Le osservazioni scaturiscono incalzanti.
Quando in apertura don Rocchia definisce Gesù come una persona che va “contromano” mette in chiaro qual è lo spirito delle sue riflessioni. Intende comunicare un atteggiamento personale di vita che interpella, attraverso gli “anawim”, gli ultimi, la coscienza individuale e comunitaria. Il Brasile ha confermato questa sua consapevolezza.
Lungo tutte le pagine l’aspetto ecclesiale gli consente di porsi in modo critico di fronte alla storia della Chiesa. “venti secoli di corsa al potere”. La Chiesa non è però “un’azienda in cui l’efficienza delle strutture è garanzia del risultato finale”. Occorre anzi vivere il messaggio per essere credibili ed efficaci. Su questo versante la stessa storia della Chiesa offre più di un chiaro esempio a cui ispirarsi.
È la scelta degli ultimi a essere posta al centro. Gesù è “insonnia dell’umanità”, perché il suo andare “contromano” è un porsi accanto a loro lasciando inquiete le coscienze. Un’inquietudine feconda perché è invito a non essere accomodanti. Per tutti suonano le “tre trombe”: annuncio, denuncia e testimonianza. E su questo torna a farsi indispensabile l’integrazione tra atteggiamento missionario e inculturazione, essere parte delle realtà a cui ci si dedica, perché “c’è sempre da imparare”, aggiunge umilmente.
Anche su questo versante don Rocchia non usa giri di parole quando ripensa alla teologia della liberazione, o alla “gloriosa pagina dei preti operai” o all’esperienza della “teologia della zappa”, che si “insegna” in un centro di formazione missionaria nel Nordest brasiliano: “questi missionari contadini suscitano polemiche dentro la Chiesa e fuori di essa. Questi giovani lavorano nei campi quattro ore al giorno. La teologia viene studiata insieme al popolo e agli orientatori teologi”.
È viva la consapevolezza che “chi vive a contatto con la gente deve rendere conto, dal momento che viene osservato tutto il tempo”. Atteggiamento che significa anche autocritica. Certo, c’è la domanda “perché le nostre pastorali non attirano?”, ma più diretta è quella che, non a caso, la precede: “Viviamo sulla pelle quanto predichiamo?”. Ciò anche a rischio di passare per sovversivo agli occhi dei potenti, tanto più se si porta una “camicia rossa”.
Rimane il pericolo dell’attivismo, di scordare “l’importanza dell’alimentarsi” nel “deserto” con le parole di Gesù. Stona con l’immagine di un Brasile dalla natura lussureggiante l’idea del deserto. Viene però dalla figura di Charles de Foucauld che don Rocchia richiama come “pellegrino nella notte oscura” e guida per comprendere cosa significa essere con le popolazioni a cui ci si rivolge.
Come Gesù… all’ultimo posto
di Giovanni Rocchia
Primalpe
16 euro