Dai discriminati a chi discrimina: i problemi non vengono dai primi, ma risiedono nei secondi, nei loro pregiudizi e, in ultimo nei loro interessi. È chiaro il capovolgimento proposto da Lilian Thuram, già calciatore nella Juve, ora impegnato contro il razzismo e per le uguaglianze: affronta il tema dell’emarginazione dei neri, ma precisa che potrebbe dire lo stesso per le donne o altri gruppi, parlando quasi esclusivamente dei bianchi. Si dà per scontato che il bianco sia il colore fondamentale della razza umana. È constatazione anzitutto linguistica. Si parla di “persona di colore” dando per assodato che si indicano i neri, con una generalizzazione che sfiora la banalità. A chi verrebbe in mente di pensare questa espressione applicata ai bianchi? Ritroviamo questi rischi di deriva razzista, magari epidermica, in altre espressioni: “Chi dimenticherà che a un nero si diceva: tu, perché il voi era riservato solo ai bianchi”.
Lo sperimentiamo ogni giorno quando il tu riempie gli incontri con gli extracomunitari. Uno stile colloquiale falsamente amicale: la posizione dominante definisce la normalità e le espressioni che la veicolano.
L’autore dunque si muove nel “pensiero bianco” per rintracciarvi i germi dei pregiudizi. Dalla constatazione delle differenze all’affermazione della propria superiorità il passo è breve, inconsapevole. È, sostiene Thuram, una mentalità interiorizzata nel corso della storia, che è “scienza umana con cui si costruisce il presente”. E dalla storia muove per rintracciare questa sedimentazione impercettibile e costante degli atteggiamenti razzisti. Troviamo generalizzazioni pericolose: lo schiavo è per antonomasia il nero vittima della tratta. Si dimentica che nei secoli la schiavitù non guardava il colore della pelle. E l’oggi non fa eccezione: bambini soldato, donne costrette a prostituirsi, migranti sfruttati.
Anche la cultura non si sottrae a questi rischi. Alcuni illuministi condannavano la schiavitù, ma erano teneri contro la tratta. Altri davano per scontati gli schiavi pur riconoscendogli un minimo di diritti. Nell’Ottocento è la scienza stessa a cercare fondamenti per presunte superiorità fino a mascherarle di virtù: portatori di civiltà.
Un cammino che si sedimenta nella cultura e, ancora più grave, rischia di essere interiorizzato dalle stesse “persone di colore”. Per questo si tratta, secondo l’autore, di attuare un rovesciamento metodologico: “per sfuggire al mio colore, perché non sia che un dettaglio fisico senza importanza, bisogna che i bianchi sfuggano al loro”. Pur nella fermezza delle proprie argomentazioni, Thuram insiste sull’urgenza di guardare e capire non per giudicare, ma per accettare un dato di fatto e lavorare per cambiarlo. “Questa riflessione richiede molta modestia e un po’ di coraggio”
Il pensiero bianco
di Lilian Thuram
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18 euro