Fossano – Era già capitato altre volte che litigasse con sua madre per via di quel ragazzo che lei frequentava e che non piaceva alla madre, ma quella volta, il 29 marzo 2020, le conseguenze furono più gravi, con schiaffi, segni di unghie sul collo e botte sulle gambe con un flauto di plastica; dolori ed ematomi che indussero la ragazzina a suonare alla porta dei vicini, appena la madre era uscita di casa, per farsi dare una pomata e che a seguito della denuncia hanno portato al processo della madre, N. R., per abuso di mezzi di correzione. La vicina, chiamata a testimoniare in aula, aveva riferito di aver sentito altre volte urla e litigi provenire dall’appartamento e quando la ragazza suonò alla sua porta, le chiese di poter fotografare quei segni e cercò di parlare con lei per farle capire che non era normale quello che era accaduto. La giovane, ascoltata in aula, ha confermato che quella non era la prima volta che veniva picchiata, anche se era stata quello l’episodio più grave e che altre volte l’aveva picchiata anche il fratello quando ancora viveva con loro. La madre stessa avrebbe poi rivelato alla vicina che in quell’occasione le era sfuggita un po’ la mano e che era tutto dovuto al fatto che era contraria alla relazione della figlia con quel ragazzo. In seguito a quell’episodio e alla denuncia, la giovane è stata affidata ai nonni, mentre i rapporti con la madre, con la quale ogni tanto si sente, sono migliorati. Per l’accusa, che ha chiesto la ridefinizione del reato come violenza privata e una condanna a dieci mesi di reclusione, le accuse sono state ampiamente provate: “Anche laddove la finalità sia correttiva – ha concluso in aula il pubblico ministero – questa pretesa non può valere come scriminante delle violenza”. Per la difesa, che ha sottolineato il fatto che si sia trattato di un solo episodio provato e che ha chiesto di non modificare il capo di imputazione, occorreva tenere conto anche della situazione ambientale della famiglia, con una madre separata che, a fronte di padre assente, lavorava anche di notte per mantenere la famiglia. Il giudice ha accolto la richiesta dell’accusa condannando la donna a cinque mesi di reclusione col beneficio della sospensione condizionale.