Genola – Si è concluso con una condanna il processo per atti persecutori aggravati e lesioni in cui era imputato S. Z., torinese di 22 anni che nel 2017, al termine di una difficile relazione con una ragazza di 15 anni, aveva iniziato a perseguitare sia lei sia un’altra sua ex solo per il fatto che le due erano nel frattempo diventate amiche. “Litigavamo spesso – aveva dichiarato al giudice la ragazza vittima degli atti persecutori – e quando l’ho lasciato mi chiamava continuamente perché non accettava la fine della relazione”. In più di un’occasione, già prima della fine della relazione, il ragazzo l’aveva picchiata perché era uscita senza di lui: una volta alla stazione di Fossano, dove l’aveva spinta dalle scale, e un’altra volta in strada dove l’aveva minacciata con una bottiglia presa dal cestino della spazzatura. Il maresciallo del Nucleo operativo radiomobile dei Carabinieri di Fossano che aveva condotto le indagini ha anche riferito dei messaggi telefonici che l’imputato aveva iniziato a mandare a entrambe le ragazze, che nel frattempo erano diventate amiche: “Scriveva messaggi tipo ‘vi impicco tutte e due’ – aveva riferito il teste – e anche ‘non siamo amici, se ti incontro ti ammazzo’; questo è emerso dall’analisi del suo telefono”. L’episodio che portò alla denuncia si verificò la sera del 31 ottobre alla discoteca Dejavu di Genola dove le ragazze erano andate a ballare. I tre si incontrarono nell’atrio della discoteca e lui sferrò un pugno in faccia a una delle due lasciandola semisvenuta a terra. La giovane aveva riportato una profonda ferita al labbro e, dopo essere andata con la madre al pronto soccorso, decise di sporgere querela. Uno “stalking a tre” l’ha definito il pubblico ministero al termine dell’istruttoria, in cui ha chiesto una condanna a tre anni e sei mesi per l’imputato, episodi molto gravi tali da indurre le due giovani a modificare le proprie abitudini quotidiane: “Episodi del tutto estranei a una dinamica tra adolescenti – ha sottolineato il pubblico ministero Raffaele Delpui -, soprattutto se rivolti a soggetti di sesso femminile; valutiamo qualcosa che stava degenerando e che è espressione di un’indole particolarmente censurabile”. La difesa ha invece chiesto l’assoluzione non trattandosi di episodi che avevano indotto particolare disagio nelle due ragazze, le quali avevano anche rimesso la querela. Il giudice ha però ritenuto provato il reato contestato e la ricostruzione fornita dall’accusa condannando l’imputato a tre anni di reclusione.