Cuneo – Da qualche mese gli era stato revocato il porto d’armi perché risultava essere assuntore di sostanze stupefacenti. In seguito al provvedimento notificato dalla Prefettura, M. C. aveva dovuto consegnare i fucili con cui andava a caccia e le munizioni, ma la sera del 17 giugno 2019, nel corso di un’accesa lite con la moglie, che aveva scoperto sul cellulare del marito alcuni messaggi di una donna sconosciuta, lui andò alla legnaia, prese un fucile e tenendolo fra le mani con due cartucce, minacciò di ammazzarla. Accorse il padre di lei, che vive al piano di sopra della cascina di San Rocco Castagnaretta e andandogli incontro gli ordinò di dargli il fucile. Vedendo il suocero avvinarsi, M. C. gli disse di farsi i fatti suoi, di non intromettersi e che ce n’era per tutti. Approfittando di un attimo di distrazione il suocero gli prese il fucile e M. C. si allontanò in auto. La donna chiamò i Carabinieri che arrivando sul posto vennero condotti alla legnaia dove il padre della donna aveva nel frattempo nascosto l’arma e le cartucce. I carabinieri notarono che la matricola del fucile era abrasa, che si trattava di un’arma clandestina. Per questo motivo M. C. è stato rinviato a giudizio per detenzione e porto d’armi clandestine e minacce.
A fronte della testimonianza del Carabiniere intervenuto sul posto, che aveva riferito di aver trovato sia la donna che il suocero molto agitati e scossi, al processo entrambi i testimoni hanno cercato di ridimensionare l’accaduto. I litigi c’erano perché effettivamente da qualche tempo perché l’uomo aveva iniziato a fare uso di sostanze stupefacenti entrando in un giro di amicizie che preoccupavano la moglie, ma dopo quell’episodio e un breve periodo di separazione, l’uomo aveva trovato un nuovo lavoro e aveva anche concluso un corso di formazione per diventare vigile del fuoco. Un nuovo inizio che però non poteva cancellare un episodio grave come quello che gli era contestato e per il quale l’accusa aveva chiesto la condanna a tre anni e due mesi di reclusione col pagamento di una multa di 3.200 euro. Un reinserimento sociale che invece è stato sottolineato dalla difesa che ha chiesto l’assoluzione e in subordine il minimo della pena. Il collegio dei giudici ha condannato l’imputato e riconoscendo le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, ha contenuto la pena in un anno e sette mesi di reclusione e 1.000 euro di multa, disponendo anche la confisca e distruzione dell’arma (immagine di repertorio).