Il vecchio ristoratore Auguste, muore. Nella sala da pranzo mentre conversa con dei suoi clienti crolla a terra trascinando con sé tovaglia, piatti e pietanze.
Auguste era un figlio di un bracciante che “non sapeva né leggere né scrivere”, e che viveva in una casa di quelle a cui le persone perbene stavano alla larga, perché sui marciapiedi davanti passeggiavano le prostitute. Eppure nel cuore di Parigi, trasforma una bettola di infimo ordine per gli scaricatori dei mercati di Les Halles a un ristorante stallato, con due stelle Michelin, dove si servono le specialità dell’Alvernia, e dove va tutto il fior fiore della capitale francese, industriali, ministri, diplomatici, attori. Insomma una fonte di guadagni enorme che Auguste dirige prima con la moglie, poi con il figlio Antoine e la nuora. Ma alla sua morte non si sa dove quella miniera di denaro sia finita.
E la sorpresa, ma non solo, sorpresa anche diffidenza e conflittualità, si registra subito dopo la morte alla ricerca del testamento da parte dei tre figli, estremamente diversi l’uno dall’altro: un giudice che ha studiato e che di affari non si interessa, il figlio che gli è sempre stato accanto, e un fallito ubriacone e sempre alla ricerca di denaro. E quel testamento e dunque quei soldi che i figli ricercano diventano scusa o strumento che tira fuori i caratteri, migliori e peggiori degli esseri umani. E chi meglio di Simenon sa raccontare l’uomo e le sue debolezze?
Un altro Simenon assolutamente da non perdere.
La morte di Auguste
di Georges Simenon
Adelphi
euro 18