Certamente qualcuno aveva esploso dei colpi di arma da fuoco nella notte fra il 2 e il 3 febbraio del 2020 contro l’abitazione all’interno del campo nomadi in cui stavano dormendo G. C. con la moglie B. E.; la polizia che intervenne su chiamata della figlia ventinovenne della coppia trovò cinque fori di proiettile esplosi da una calibro 38 contro il soggiorno e la cucina dell’abitazione. La coppia dormiva, nessuno si fece male, nessuno denunciò l’episodio e soprattutto nessuno offrì alcun aiuto agli inquirenti che riuscirono ad arrivare al presunto responsabile grazie alle intercettazioni cui da tempo erano sottoposti alcuni residenti del campo nell’ambito di una indagine su furti ai danni di istituti di credito. Da queste telefonate gli agenti avevano capito che era in corso una sorta di faida familiare tra la famiglia di G. C. e quella del cugino J. A. la cui figlia minorenne mesi prima era fuggita di casa con il genero di G. C. La coppia era stata scoperta a Montecatini nel campo nomadi della famiglia dell’uomo e riportata a casa a Cuneo. L’accordo per mettere fine a quella fuga d’amore sarebbe stato il ritorno della ragazza a casa e l’assicurazione che I. M., responsabile di quella fuga, non mettesse più piede al campo di via del Passatore. Intercettato al telefono dalla Polizia J. A. aveva espresso tutta la sua rabbia contro I.M. confidando ad un amico che ‘lui girava sempre armato perché non sapeva come sarebbe finita quella storia”, e una volta avrebbe minacciato proprio I. M. dicendogli che ‘era un uomo morto’. Sulla base di questi indizi J. A. venne quindi indagato e poi rinviato a giudizio con l’accusa di detenzione, porto d’armi e minaccia aggravata. L’arma però non fu mai trovata e dalle testimonianze raccolte al processo non fu possibile stabilire neanche con precisione chi quella notte, oltre a G. C. e B. E., stesse dormendo nella casa contro cui vennero esplosi i colpi. I due anziani genitori dissero di essere soli nella casa, I. M. riferì invece che con loro dormiva anche la sua compagna e la figlioletta che quella sera non stava bene e aveva bisogno del bagno che nella sua roulotte non c’era; versione smentita proprio dalla sua compagna che aveva riferito di trovarsi con il compagno e la figlioletta a casa della nonna. Per l’accusa però la presenza di I. M. nel campo rappresentava una rottura dell’accordo con J. A. dopo il rientro della figlia a casa e un valido motivo per voler lanciare quell’avviso al cugino. Per il pubblico ministero Attilio Stea erano indizi sufficienti a dimostrare la colpevolezza dell’imputato per il quale è stata chiesta la condanna a due anni e sei mesi di reclusione e 6.600 euro di multa. Indizi assolutamente insufficienti per l’avvocato Rosalba Cannone difensore dell’imputato secondo la quale l’unica cosa certa di tutta la vicenda erano i colpi esplosi contro la casa. Nessuno aveva visto niente e le parole dell’imputato intercettate al telefono dovevano essere accolte per quello che erano, parole di rabbia di un uomo che aveva visto la propria figlia minorenne fuggire con un uomo adulto padre di famiglia, “chiunque poteva avercela con quella famiglia, nel campo vivono circa 130 persone, ma non sono state fatte altre indagini” aveva concluso il difensore chiedendo e ottenendo l’assoluzione del proprio assistito per non aver commesso il fatto.