Un contratto di lavoro che giustificasse la richiesta del permesso di soggiorno; era questo l’accordo tra V. D., imprenditore agricolo cuneese, e alcuni cittadini di origine marocchina che tramite quel contratto cercavano di far arrivare in Italia dei parenti. Non si poteva però stipulare quel contratto di lavoro, perché l’imprenditore non possedeva un’azienda di dimensioni tali da giustificare l’assunzione di dodici lavoratori. I soldi per portare avanti le pratiche, circa 4500 euro, erano però già stati versati e quando fu evidente che il contratto non sarebbe arrivato e con esso sarebbe sfumata anche la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno, si verificò il tentativo di estorsione. Con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono stati rinviati a giudizio sei cittadini di origine marocchina residenti tra la provincia di Cuneo e Torino e con loro anche l’imprenditore; a tre di loro, quelli che il 27 maggio 2017 irruppero a casa dell’imprenditore per pretendere la restituzione del doppio della somma versata, è contestato anche il reato di estorsione. “O porti avanti le pratiche o ci restituisci il denaro – aveva sottolineato il pm Attilio Offman nella sua requisitoria – ma quel denaro era provento di un illecito, vale a dire le assunzioni fittizie per avere il permesso di soggiorno”. Per l’accusa che quelle assunzioni fossero false era stato noto fin da subito all’imprenditore e a R. E. N., uno dei sei cittadini che con lui avrebbe architettato il piano. L’imprenditore, vittima dell’estorsione e imputato per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, venne tenuto sotto scacco per un’intera mattina quel giorno di maggio 2017; ai giudici aveva riferito che sette o otto uomini gli avrebbero tolto le chiavi di casa, lo avrebbero spintonato, con la pretesa della restituzione di una cifra doppia rispetto a quanto versato. Avevano anche preteso che con loro salisse in auto per andare dal commercialista per concludere la pratica, ma l’uomo riuscì a chiamare i Carabinieri che intervennero quando gli intrusi se ne erano andati. Solo tre di loro vennero identificati e solo a loro è stato quindi contestato il reato di estorsione. Dalle indagini che scaturirono da quella denuncia si arrivò all’identificazione di altri tre marocchini che avrebbero versato soldi per quel contratto di lavoro. Per loro la richiesta di condanna è stata di quattro anni e 10.000 euro di multa, per i tre a cui è stata contestata anche l’estorsione la richiesta di pena è stata di cinque anni e 8.000 euro di multa. Per l’imprenditore, che da momento della denuncia collaborò attivamente con gli inquirenti la richiesta di pena è stata di due anni e 5.000 euro di multa. Per il difensore di V. D. quell’accordo però era inizialmente lecito: “La sua colpa è stata la paura che è sopravvenuta quando si è reso conto di non riuscire ad uscire da quella situazione”, aveva concluso l’avvocato. Per gli altri difensori però V. D. non sarebbe attendibile nella sua denuncia, così come molto fumosa sarebbe stata la ricostruzione e l’identificazione delle persone che quel giorno avrebbero fatto irruzione a casa sua. Secondo gli avvocati la promessa di un contratto era stata veritiera e a fronte dei ritardi nel portare a termine la pratica i loro assistiti si sarebbero limitati a chiedere spiegazione all’imprenditore. Le repliche e la sentenza sono stati rinviati al 10 dicembre.