Al momento le persone trattenute nel Cpr, a Torino, sono 68, distribuite nelle tre aree aperte, su sei complessive. Dalla riapertura di fine marzo ad oggi sono transitate nel Centro 354 persone, di cui ne sono state rimpatriate 38, vale a dire il 10% dei trattenuti e meno di un terzo dei rimpatri complessivi effettuati dalla Questura di Torino, come comunicato in una nota stampa. Il problema dei rimpatri impossibili vista l’assenza di accordi con i paesi di origine rimane uno degli ostacoli del sistema, per cui sono in molti a chiedere di chiudere i Cpr non solo a Torino ma in tutta Italia.
Sono i dati ufficiali dichiarati dopo la visita di ieri, venerdì 5 settembre, delle consigliere regionali di Avs, la cuneese Giulia Marro e la torinese Alice Ravinale, tra le sostenitrici della chiusura.
“La situazione kafkiana – dicono Marro e Ravinale – che si trovano ad affrontare le persone straniere illegalizzate dalle norme sull’immigrazione vigenti in Italia è ben esemplificata dalla vicenda di un ragazzo gambiano di 22 anni. Nonostante abbia una richiesta d’asilo pendente – e dunque sia destinato, per legge, ad uscire dal CPR – il giovane resta trattenuto in attesa della prossima udienza. Ma non è tutto: il ragazzo, che presenta problemi di salute e lamenta la carenza delle cure, è stato denunciato dagli agenti che operano nel Centro per resistenza a pubblico ufficiale, un reato che a fronte del DL Sicurezza voluto dal Governo Meloni può portare ad una condanna fino a 7 anni di carcere. Il giudice chiamato a pronunciarsi sulla denuncia ha disposto l’obbligo di firma come misura cautelare: la situazione è quindi quella di un ragazzo giovanissimo trattenuto in CPR per l’espulsione nonostante abbia una richiesta d’asilo pendente, per il quale si celebrerà un processo per resistenza a pubblico ufficiale che rischia di portarlo in carcere per anni e che è tenuto all’obbligo di firma mentre già si trova nella custodia dello Stato in Corso Brunelleschi. ome è possibile che le istituzioni dedichino a questo le loro energie, che dovrebbero essere investite per il bene comune? Molto preoccupanti sono poi le condizioni di salute mentale delle persone trattenute: ricordiamo che per entrare tutti devono avere una certificazione di idoneità dell’ASL, ma le situazioni di disagio mentale sono talmente evidenti che gli stessi medici interni del CPR o i giudici spesso dispongono accertamenti ulteriori rispetto al referto di ingresso, per non parlare del consumo di psicofarmaci che resta elevato. Chi soffre di disturbi di salute mentale è una persona vulnerabile che all’interno del CPR non deve mettere piede, secondo le stesse direttive ministeriali: invece, come sempre, ci siamo trovate di fronte persone con significativi disturbi, che uniti alla disperazione per la insensatezza della reclusione conducono spesso ad atti di autolesionismo – numerosi anche nel mese di agosto”.