Sabato 2 agosto è la giornata simbolo del ricordo del “Porrajmos” (letteralmente grande divoramento) cioè lo sterminio di quasi 3.000 sinti e rom da parte del regime nazista.
Una ricorrenza tragica che, nel campo nomadi di via del Passatore a Cerialdo, è particolarmente sentita. Anche perché lì, fino al 2010 quando è morto all’età di 83 anni, ha vissuto Amilcare, detto Taro, Debar, staffetta e poi partigiano combattente che, per tutta la vita, ha lottato affinché la strage della sua gente non venisse dimenticata. Dopo la Liberazione, si arruolò nella Polizia di Stato, ma a ventidue anni si congedò e ritornò tra la sua gente, i nomadi sinti. È sempre vissuto a Cuneo, prima nell’accampamento sotto il viadotto Soleri, poi nel campo nomadi di Cerialdo. In qualità di presidente dell’Opera Nomadi, ha rappresentato il suo popolo all’Onu, a Bruxelles, alla Cee e a Strasburgo, al Consiglio d’Europa. Ha fatto conoscere le persecuzioni razziali subite dai popoli nomadi, molti dei quali furono deportati nei campi di sterminio nazisti. La figura di Taro è molto viva nei ricordi dei suoi figli, che vivono nel campo di via del Passatore, ma anche in tutta comunità sinti che ha rappresentato ai più alti livelli internazionali. L’incontro con il presidente Sandro Pertini, con il Papa e nelle sedi istituzionali in più svariate occasioni non è solo leggenda per i famigliari, ma testimonianza di un uomo-simbolo di un intero popolo.