Giovani che fuggono in cerca di prospettive, interi paesi che si spopolano, infrastrutture carenti, ospedali che chiudono, il servizio postale assente, sportelli bancari accorpati che lasciano sguarniti un numero crescenti di centri. Un elenco che potrebbe ancora continuare, ma che già fornisce l’idea di cosa significa vivere in una ‘area interna’.
Dal Sud al Nord del Paese crescono le comunità che devono far fronte all’isolamento e alla distanza dai servizi essenziali. Una realtà che interpella anche la Chiesa. Da alcuni anni, dal 2019, un gruppo di vescovi di diocesi del Sud hanno iniziato a confrontarsi. Su spinta di mons. Felice Accrocca, vescovo di Benevento, è nato un gruppo spontaneo di condivisione, di riflessione e di dialogo per offrire proposte, sollecitare le istituzioni, guardare al futuro con speranza. Il primo vescovo del Nord a partecipare a questo gruppo è stato mons. Marco Prastaro, pastore della diocesi astigiana, si è avvicinato a partire al 2021 e dopo di lui si è allargata la presenza di altri vescovi del centro-nord.
Il confronto intraecclesiale sta dando corpo ad una pastorale specifica per questi luoghi di “desertificazione”, abbozzandone le linee portanti, soprattutto in termini di ministerialità plurale. Dal Piemonte sono state offerte riflessioni e contributi da mons. Franco Giulio Brambilla (Novara) che precisa come “il discorso sul rinnovo urgente della forma ecclesiae nella pastorale italiana, con particolare attenzione alle zone interne, deve evitare di pensarsi con una prospettiva ecclesiocentrica e meno ancora come un’operazione di ingegneria ecclesiastica, per adattarsi ai due fenomeni più macroscopici che rendono particolarmente critica la presenza della Chiesa sul territorio delle aree più interne: la drammatica diminuzione del clero, il diffuso spopolamento delle zone isolate e lontane dai centri più grandi”, e dal card. Roberto Repole che lo scorso anno ha tratteggiato il nuovo ruolo del sacerdote di oggi.
Uno dei messaggi che giungono da questo ‘gruppo spontaneo’ è : “la Chiesa deve rimanere in tutti luoghi in cui è presente”. Mons. Prastaro dettaglia più nel concreto, invitando ad interrogarsi su cosa significa “rimanere”. Perché ha un senso rimanere quando in paesi più remoti ci sono alcune famiglie che tengono viva la fede nella loro realtà e il parroco periodicamente è presente, allora in questo senso la Chiesa rimane. Non esiste un modello unico che può essere sperimentato in ogni luogo.
Per il Vescovo di Asti, occorre iniziare a pensare a centri eucaristici, nei quali le piccole comunità sparse nei paesini e nelle contrade si ritrovano la domenica. “Di solito io uso questa affermazione – rivela- un tempo ogni campanile era una comunità, oggi una comunità sarà fatta di tanti campanili”.
Dal Sud al Piemonte. La realtà non è uguale, ci sono piccoli centri che si stanno spopolando, ma nella regione subalpina l’accesso ai servizi non è così difficile come in alcune zone del meridione. Rimane in comune la mancanza di prospettiva per il futuro di alcune aree, zone in cui brulicano i cartelli sulle case ‘vendesi’. Una realtà in cui si imbatte anche il vescovo Prastaro.
“Incontrarsi con gli altri vescovi delle aree interne – condivide Prastraro – è una opportunità per mettere in comune le esperienze, le soluzioni, le strategie. Poi si trovano risposte differenti secondo le diverse realtà”. E insiste: “la Chiesa è presente perché ci sono dei cristiani che desiderano mantenere viva la propria fede, trasmetterla anzitutto ai loro figli e poi testimoniarla con le persone vicine, con la carità”.
Il confronto tra i vescovi riferisce mons. Prastaro passa anche attraverso il rapporto tra Chiesa e società civile e istituzioni. Importante l’incontro avuto con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che proprio nel discorso del 2 giugno, Festa della Repubblica, ha citato le aree interne, “valorizzare le risorse culturali e ambientali delle diverse aree del Paese, dalle città alle aree interne, è una missione che sollecita lo sforzo di chi ha responsabilità pubbliche”.
Con il proverbio africano, in ricordo dei 12 anni vissuti in Africa, mons. Prastaro inquadra il motivo per cui i disservizi delle aree interne riguardano ciascuno di noi, “In Africa iniziava la siccità, e le prime a morire erano le capre, poi le vacche, poi le pecore, gli asini, i cammelli e le zebre e poi toccava agli esseri umani”.