Qualche settimana fa aveva incassato l’assoluzione dall’accusa di lesioni aggravate perchè il morso che aveva dato sul braccio ad un suo alunno era stato giudicato dal giudice un atto di legittima difesa. Ora il prof. G.C. che dopo quel fatto era stato destituito dall’incarico presso l’Istituto Arimondi e che in seguito aveva ottenuto un incarico temporaneo in altra scuola, è nuovamente a processo con l’accusa di stalking ad una sua vicina di casa. La donna, infermiera a Savigliano, aveva affittato nel 2018 un alloggio nello stesso stabile del professore, sullo stesso pianerottolo. “Fino al 2021 non ci furono problemi, lo salutavo quando lo incontravo nel palazzo come facevo con gli altri condomini” ha riferito la donna costituita in giudizio e che in seguito ai fatti che si verificarono tra ottobre e novembre di quell’anno fu indotta a cambiare casa. Rientrando a casa da un turno in ospedale trovò infilato sotto la porta un biglietto con frasi accusatorie nei suoi confronti, “alcune frasi erano sconnesse, si faceva riferimento a delle malattie, non ne capivo la ragione e soprattutto da chi provenisse dato che sul campanello non avevo neanche messo il mio nome”, ha proseguito nel suo racconto la donna. Il mistero fu presto risolto perchè quella sera stessa le arrivò un altro messaggio su messanger, che riconduceva al profilo del suo vicino di pianerottolo. Il contenuto era sempre lo stesso, accuse a lei che avrebbe sparlato di lui con delle colleghe in ospedale, “ma non ne capivo la ragione, non era stato mio paziente in ospedale, nè lui nè persone a lui riconducibili” ha aggiunto la vittima che ha poi raccontato gli altri episodi inquietanti che la indussero a denunciare e poi a trasferirsi. Il professore aveva infatti continuato ad accusare l’infermiera anche sul sito ufficiale della Asl tanto che poi venne bloccato dall’ente. Aveva anche iniziato ad uscire sul pianerottolo subito dopo che lei rincasava e ad urlare frasi sconnesse, tanto che la vittima ebbe la certezza che lui la stesse monitorando. Un giorno trovò davanti alla porta di casa un pacco con dentro della spazzatura; in un’altra occasione lo aveva visto dallo spioncino mentre si chinava davanti alla sua porta e armeggiare a terra, “quando andò via ho aperto la porta e sotto lo zerbino trovai tre pacchetti di cracker; altre volte guardando dallo spioncino lo vidi che appoggiava l’orecchio sulla mia porta per spiarmi. Fu in questo modo che un giorno lo trovò aprendo all’improvviso la porta di casa mentre usciva per andare al lavoro, “ormai ogni volta che uscivo chiamavo i miei genitori o il mio fidanzato, a volte anche in videochiamata, perchè non ero tranquilla. Quando mi vide fece subito un passo indietro lamentandosi di cose incomprensibili e quando dissi che mi sarei rivolta ai carabinieri si ritirò subito in casa”. Alla domanda del difensore dell’imputato se lui avesse mai avuto atteggiamenti aggressivi nei suoi confronti la donna ha risposto che fu una violenza di tipo psicologico che le generò un profondo stato d’ansia, tanto da costringerla a lasciare quella casa che aveva affittato proprio perchè vicina al posto di lavoro e a tornare dai genitori per un certo periodo prima di sentirsi nuovamente tranquilla per andare a vivere per contro proprio. Il processo proseguirà a dicembre con gli altri testi dell’accusa.