Il referendum, seppure abrogativo, è l’unico atto di vera e propria democrazia diretta consentita in Italia. Nel senso che permette ai cittadini, con il loro voto, di “fare” una legge. Il parlamento potrà poi modificare, armonizzare la legge con ulteriori modifiche, ma senza disconoscere la volontà popolare espressa nel referendum.
Così è accaduto – per fare qualche esempio – con il referendum sull’acqua pubblica, o quello sul finanziamento pubblico ai partiti o, andando ancora più indietro, con la legge sul divorzio.
Naturalmente i cambiamenti avvengono quando a votare va almeno il 50%+1 dei cittadini con diritto al voto e se, tra i votanti, vince il Sì.
Non è difficile quindi cogliere l’importanza di andare o non andare a votare l’8 e 9 giugno per i cinque referendum previsti. Ed è facile capire perché i partiti che non vogliono che le leggi oggetto di referendum vengano modificate invitino a disertare le urne. Chi invita a starsene a casa o a non ritirare le schede di voto, come ha fatto la presidente del consiglio, si esprime per un no radicale, totale.
Una posizione legittima, ma piuttosto discutibile: fuggire la battaglia non significa vincerla. Non è un gesto di coraggio. Ma soprattutto contribuisce a svilire uno strumento importante della democrazia quale è il referendum.
A invitare all’astensione ci sono quasi tutti i partiti di centrodestra, e c’è la posizione un po’ ambigua di un sindacato importante come la Cisl, che non invita apertamente all’astensione, ma dichiara che il referendum è uno strumento “sbagliato” per risolvere i problemi. È vero che questi referendum sono stati promossi da un sindacato “nemico” come la Cgil, ed è anche vero che almeno alcuni quesiti sono impregnati di un certo ideologismo, ma è pur vero che le questioni che riguardano il lavoro sono la ragione stessa di esistere di tutti i sindacati. Pronunciarsi per un Sì o per un No avrebbe un il suo perché.
I referendum, servono sempre e comunque a mandare un messaggio politico al parlamento e a chi governa. Anche se non si raggiunge il quorum del 50%+1. Se, come prevedono i sondaggisti, il quorum non sarà raggiunto, il segnale politico verrà da due elementi: la percentuale di votanti (un conto è raggiungere il 15/20%, un altro conto il 40%) e dalla percentuale più o meno alta ottenuto dai sì.
Resta infine da rimarcare come la scelta dei partiti di schierarsi non tanto per il Sì o per il No, quanto per la partecipazione o per l’astensione, indichi la volontà preminente di “contarsi”. Il centrosinistra per verificare se può mettere insieme numeri sufficienti (magari con i 5Stelle) per sfidare l’attuale maggioranza alle prossime elezioni, il centrodestra per saggiare la tenuta della sua eterogenea maggioranza e il gradimento del governo Meloni.
Il risultato dei referendum, a questo puntano i partiti, dirà chi ne uscirà politicamente rafforzato e chi indebolito.
Per i cittadini, il rischio è di andare a votare (o a non votare) ignorando totalmente i contenuti di cinque referendum che pure sarebbero importanti per la qualità di vita e di lavoro dei cittadini, per limitarsi ad esprimere soltanto un voto di simpatia o di adesione ad un partito piuttosto che ad un altro.