Chiedevano che le insegnanti usassero il pugno di ferro per impartire la giusta educazione ai loro due figli che frequentavano la scuola primaria presso il locale istituto comprensivo; loro stessi raccontavano alle docenti di aver più volte fatto ricorso alla fantomatica figura di uno ‘zio’ per spaventarli e indurli al silenzio, “solo che qui l’eccesso di mezzi di correzione ha reso illecito il mezzo” aveva concluso la sua arringa il pubblico ministero Annamaria Clemente, riferendosi alle botte che venivano date ai due piccoli usando un tubo di gomma scaldato, e chiedendo per i due genitori la condanna a 10 mesi di reclusione.
La denuncia era venuta proprio dalle insegnanti a maggio del 2021, dopo che per tutto l’anno scolastico la gestione dei due bambini era risultata molto difficile e andava sempre peggiorando; le loro continue crisi d’ansia li portavano ad essere ingestibili all’interno della classe. Più volte nel corso di quell’anno le insegnanti avevano cercato un confronto con i genitori che però apparivano irremovibili nella loro convinzione che per una buona educazione ci volesse il pugno di ferro. Il 19 maggio però il più grande lamentava un dolore alla schiena e alle gambe e non riusciva a stare seduto, mentre il più piccolo aveva un livido sulla fronte. La segnalazione finì ai carabinieri che a loro volta coinvolsero i servizi sociali e da qui partì la denuncia per lesioni e abuso di mezzi di correzione che portò i due genitori a processo. I bambini intanto vennero temporaneamente collocati presso una famiglia affidataria e iniziò il percorso terapeutico per l’intero nucleo familiare, un percorso positivo testimoniato dalla dirigente dell’istituto che in aula aveva detto che i genitori avevano capito i loro errori e avevano instaurato una proficua collaborazione con la scuola così come i bambini, non sentendosi più minacciati, avevano realizzato un buon percorso scolastico. Per il difensore Enrico Gallo però le condotte contestate non erano state pienamente provate sia per le imprecisioni nel racconto delle docenti, sia per l’inattendibilità dei due bambini e per questo aveva chiesto l’assoluzione. Richiesta respinta dal giudice che anche riconoscendo le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate e sospendendo la pena, ha condannato padre e madre rispettivamente a 6 e 7 mesi di reclusione.
