Nel leggere questo singolare romanzo salta all’occhio come l’autore più volte giochi sulla verità dei fatti. Bisogna “cacciare, raspare, frugare come un cane da trifola”. Gli eventi sono lì per questo: attendono di essere svelati attraverso una paziente opera di riorganizzazione per mettere insieme i tasselli del mosaico. Che è poi il lavoro del narrare. Poi scopri che forse c’è un’altra pista da battere fino alla domanda del disorientato Sante “Non c’è dunque una sola verità, nelle cose?”.
Ha infatti i tratti del giallo giornalistico il romanzo. C’è un misterioso tesoro della IV Armata che si intreccia con la fuga degli ebrei da Saint Martin, di cui sembra nessuno voglia parlare. Nella seconda metà del Novecento si aggiungono tre morti accomunate da singolari coincidenze.
A distillare continui elementi di incertezza su presunte verità è chiamato Talino, un sacerdote dai singolari modi di fare e una passione per l’archivistica di ritagli di giornale.
Quel personaggio che, dice, ha una sola certezza, quella su Dio, presto si manifesta come cardine dell’intera vicenda non tanto come un Caronte che traghetta nell’inferno dei fatti, quanto perché ripetutamente insinua osservazioni sul raccontare.
Si comincia dalla prima secondo cui gli scritti vanno presi con le molle (il lettore è avvisato) e si va avanti sul tono del dare il giusto peso alle cose della vita, sull’uso delle parole, sul costruire la “mia” visione in rapporto al principio universale della verità.
Al lettore è riservata poi la pirandelliana svolta finale che rimette tutto in gioco, che costringe a ripensare quelle frasi che parevano solo battute a effetto più ancora dei personaggi di cui, francamente, l’autore ci lascia un po’ troppo orfani.
Ma è l’autore stesso che sembra dire al lettore “goditi il racconto” per quello che è, cioè estro narrativo, perché “c’è bisogno di memorie e di fatti, ma anche di storie che ne facciano un amalgama, e di invenzione”.
L’Alba dei segreti
di Teresio Asola
Editrice: ArabaFenice
euro 16