Far dialogare narrativa e territorio non è una novità, lo ammettono i curatori. La scelta editoriale del “giallo” è però vincente, perché anzitutto solletica la curiosità del lettore per vedere come faccia la promozione del territorio a coesistere con un genere che per natura presta il fianco a situazioni non sempre edificanti. Insomma, tra queste verdi montagne se scorre il sangue non è che poi ne risente l’immagine?
Dubbio legittimo, che però in questa raccolta si scioglie proprio facendo leva sulle potenzialità dell’ambiente in cui i racconti si muovono. Basta guardare a come il paesaggio, naturale e quello dei piccoli centri disseminati lungo il Maira, sappia penetrare nei testi sfumando quel senso di tenebroso che per definizione dovrebbe caratterizzare il genere “giallo”.
Le montagne, i prati, persino le case dei paesi, che tra l’altro neppure si premurano si nascondersi, ma anzi si dichiarano apertamente col loro nome, tutto sembra essere lì a guardare quel che gli uomini intrecciano. Come quando, per esempio, si dichiara esplicitamente che “il Chersogno, la Marchisa e il monte Pelvo col loro candido abito nuovo, sarebbero stati ancora lì, impassibili, ad abbracciare la bella Castellaro” che pure è appena stata palcoscenico di un omicidio.
Gli autori rivelano così quasi un sano distacco dalla materia trattata lasciandosi guidare dal territorio. Offrono precisi indizi per riconoscere i luoghi. Sanno risvegliare suggestioni che al passante frettoloso potrebbero essere sfuggite. Proprio come le trame che, secondo i criteri del genere, svelano indizi da interrogare, ma rimandano alla fine lo scioglimento dell’intreccio.
