Si apre il sipario sul tema della bellezza ed è subito spettacolo. Singolare è il modo con cui l’autrice affronta l’argomento evitando accuratamente ogni discorso strettamente estetico, ogni approfondimento teorico. La bellezza è fragile presenza che va cercata e soprattutto accolta nel suo rivelarsi in multiformi occasioni. Non per nulla è nell’ambito della rivelazione biblica che si muove principalmente, ma non solo, questo saggio di pregevole leggerezza.
Non sono i canoni estetici a guidare la riflessione, mutevoli e soprattutto opinabili, bensì quelli esistenziali. Per questo la bellezza da subito viene additata quale “nostra grande chance per vivere appieno la vita”.
L’astrazione rientra nella dimensione estetica. Quella esistenziale rende concreto ogni passo, così concreto che chiama in causa il nostro essere nel mondo, il sentirci parte di una rete di relazioni con tutti gli esseri viventi e il mondo intero. Una bellezza impastata nell’universo, negli imprevedibili scarti dell’esistenza. Uno lievito che trasforma la vita in un mistero tutto da scoprire, da vivere.
Anche la struttura del libro gioca la sua parte. È una bellezza letteralmente spettacolare quella scandagliata: un teatro, un palcoscenico, l’orchestra e tanti attori chiamati a recitare, cantare, suonare. Vengono da culture diverse, da spiritualità diverse unite in un caleidoscopico spettacolo di cui l’autrice cura non solo i testi, ma anche le luci e i movimenti degli attori.
Su questo palcoscenico del mondo si snocciolano quasi impercettibilmente i primi capitoli della Bibbia. Sembrano passi nascosti nel grande libro della vita. L’uomo della Genesi non è specie diversa dall’homo sapiens. È lo stesso che si trova immerso nel giardino del mondo, che fabbrica il pane dalle mille suggestioni e sperimenta la condivisone di cibo ed emozioni. Nella nascita dell’universo dialogano appoggiandosi l’una all’altro creazione e big bang. L’intrecciarsi di relazioni è a fondamento dell’esistenza, del linguaggio non soltanto umano.
Dalla concretezza del pane si raggiungono poi le vette degli ideali, la “bellezza divina dell’imparare” e la libertà. Ci si innalza verso l’alto per essere presto riconsegnati, nella figura di Giobbe, alla finitudine umana e di tutte le cose aperti però “sulla meraviglia dell’universo e sulla consapevolezza di essere un puntino, unico e fondamentale, che necessita di vedersi in uno spazio più ampio, a volte del tutto comprensibile in modo razionale e spesso segnato da contraddizioni che generano sofferenza, eppure per certi versi magico”. Perché la bellezza non esclude gli intoppi. Semmai è un credito aperto per la vita.
Alla fine rimane l’attesa che qualcuno accetti la sfida di mettere in scena questo testo teatrale. Impresa molto ardua, ammettiamolo, per la quantità di sfumature che chiama in causa, nonostante i numerosi “suggerimenti” tecnici sparsi qua e là. Del resto è la stessa sfida alle sorgenti della bellezza, di chi vuole superare i propri angusti orizzonti non per orgoglio o presunzione, bensì per conoscere se stesso e gli stessi suoi limiti. Allo spettatore/lettore resta la meraviglia di aver assistito al caleidoscopico spettacolo della vita.
Bellezza, una forza per fiorire
di Maria Teresa Milano
Editrice Paoline
euro 14