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Domenica 20 aprile 2025

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“Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”

Nello spazio aperto dal Cristo ci è dato immaginare il domicilio dei nostri affetti consegnati al tempo, al suo silenzio e al suo mistero

Cuneo

La Guida - “Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”
Pasqua

 

Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore

«Mia carissima Noretta, è la prima volta dopo trentatré anni che passiamo Pasqua disuniti e giorni dopo il trentatreesimo di matrimonio sarà senza incontro tra noi. Ricordo la chiesetta di Montemarciano ed il semplice ricevimento con gli amici contadini. Ma quando si rompe così il ritmo delle cose, esse, nella loro semplicità, risplendono come oro nel mondo. Per quanto mi riguarda, non ho previsioni né progetti, ma confido in Dio che, in vicende sempre tanto difficili, non mi ha mai abbandonato. Intuisco che altri siano nel dolore, ma non voglio spingermi oltre sulla via della disperazione. Non so se e come riuscirò a sapere di voi. Ricordatemi nella vostra preghiera così come io faccio. Vi abbraccio tutti con tanto affetto ed i migliori auguri». Così scriveva Aldo Moro il 29 marzo del 1978, una decina di giorni dopo il suo rapimento. Una, questa, delle numerose lettere scritte da Moro nei suoi 55 giorni di prigionia. E pochi giorni prima della morte (avvenuta 9 maggio 1978), il 5 maggio scrive:
«Mia dolcissima Noretta, dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo. Non mi pare il caso di discutere della cosa in sé e dell’incredibilità di una sanzione che cade sulla mia mitezza e la mia moderazione. Certo ho sbagliato, a fin di bene, nel definire l’indirizzo della mia vita. Ma ormai non si può cambiare… Per il futuro c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi. Uniti nel mio ricordo vivete insieme… Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore… Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».
È bello per la festa della Pasqua rileggere queste righe di Aldo Moro. Una fede, quella del politico italiano, in un Dio che non abbandona e sul quale confidare; un arrendersi di fronte ad una situazione che si fa via via sempre più complicata e paradossale; un affetto colmo di tenerezza per i propri familiari; la speranza di una vita dopo la morte, nella resurrezione, immaginata, attraverso i propri occhi mortali, come una luce nella quale vedere se stessi e gli altri.
Nel buio della prigionia, Aldo Moro nella fede sperava la luce.
Anche per i discepoli è stato necessario ricevere luce per guardare con occhi diversi tutta la vicenda storica di Gesù, per rileggere in altro modo ciò che il Maestro aveva detto loro.
La chiesa nasce all’alba di un mattino di Pasqua. Come cristiani siamo «aurorali», nati insieme alla luce; cerchiamo la luce, ma anche crediamo in Colui che dice di essere «la luce del mondo».
Un rito popolare, in uso molti anni fa, prevedeva che il mattino di Pasqua, quando arrivava l’alba, le mamme lavavano gli occhi ai bambini. Spesso scendevano lungo i fiumi, i ruscelli e bagnavano con acqua gli occhi dei loro figli. Un gesto dal forte valore simbolico.
La notte di Pasqua, nella liturgia della Veglia, la luce avanza nel buio. Siamo tutti avvolti dal buio, tutti nel lutto della passione. Ma piano piano a partire dal cero pasquale, simbolo del Risorto, l’assemblea si illumina. Si accendono le nostre piccole candele, ma a risplendere sono i nostri occhi pieni di luce. E, possiamo così dirci: «Cristo è risorto! Sì, è veramente risorto!».
Ogni giorno si ricomincia a credere, perché ogni nuovo giorno di luce vince le tenebre della notte e ci rincuora.
Ci rincuora anche in relazione alla fine: se pensiamo alla morte occorre cogliere nell’alba un presagio dell’attesa più radicale che c’è nel cuore umano, quella della vita che non finisce. La luce che ogni giorno si riaccende è un «segno» di quella «Luce» che ha vinto le tenebre della morte.
Alla lettera di Moro ne fa eco quella di papa Paolo VI, che nel suo Pensiero alla morte riprende l’esortazione di Gesù dal Vangelo di Giovanni (12,35): («Camminate affinché avete la luce» Gv 12,35) scrivendo. «Ecco: mi piacerebbe, terminando – scriveva il Pontefice – d’essere nella luce (…) In questo ultimo sguardo mi accorgo che questa scena affascinante e misteriosa è un riverbero, è un riflesso della prima ed unica Luce; è una rivelazione naturale d’una straordinaria ricchezza e bellezza, la quale doveva essere una iniziazione, un preludio, un anticipo, un invito alla visione dell’invisibile Sole, «che nessuno ha mai visto» (cfr. Gv 1,18), il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato».
Cosa resta dei nostri amori, delle nostre passioni, delle energie profuse in cerca di felicità, del bene compiuto, di quei legami che nel cuore umano nascono sempre con la pretesa di essere eterni? Cosa sopravvive del meglio di noi buttato come seme nel terreno dell’esistenza? Cosa ne sarà di noi?
La testimonianza evangelica ci dice che un uomo si è visto restituire quello che per amore ha accettato di perdere. La morte del Maestro non è stata una sentenza. Non ha sconfessato l’arrendevole mitezza di quello strano Messia senza potere.
In quella donazione di sé, Dio si è riconosciuto e la ospitata così come fa con quei legami che sono chiamati a restare per sempre. Nello spazio aperto dal Cristo ci è dato immaginare il domicilio dei nostri affetti consegnati al tempo, al suo silenzio e al suo mistero.
La morte non pronuncia l’ultima parola. I nostri amori hanno una speranza: «Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».

«Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo»

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